Food for flight

Di Gregory Alegi

Il patto della birra

“Perché al posto del follow-me stanno arrivando jeep cariche di soldati?”, si chiese l’equipaggio dell’Ilyushin il-18D della compagnia di bandiera cecoslovacca CSA appena atterrato a Dakar. Il quadriturboelica era da poco entrato in servizio. Grazie ai suoi 6.500 chilometri di autonomia, di lì a poco sarebbe stato impiegato per raggiungere Cuba, Montreal e persino New York.

Tutto questo, però, era ancora nel futuro. Nel presente c’erano i soldati della Legione straniera che circondavano l’aereo con le armi in pugno. “Spegni tutto e vediamo cosa vogliono”, disse il comandante al motorista, slacciando la cintura di sicurezza. Mentre le grandi eliche si fermavano, la hostess aprì la porta anteriore destra e iniziarono le trattative. Sembrava una cosa seria. “Siamo atterrati sulla base aerea 160 Dakar-Ouakam”, spiegò il comandante indicando gli aerei parcheggiati in un angolo. “Ludmila Grossova, parlaci tu”. “Io?”, chiese un po’ sorpresa la donna. “Il tuo francese è perfetto, e si sa che i francesi sono cavalieri…”, scherzò il comandante. “Spiega che c’è stato un errore di navigazione, che siamo molto dispiaciuti e che ripartiamo subito”.

Il problema non era la lingua, ma l’atterraggio di un aereo di un Paese del Patto di Varsavia su un aeroporto militare di un Paese Nato… pardon, Otan! L’ufficiale, in piedi sul cofano della jeep, con il suo bel kepì bianco, era irremovibile. “È stato solo un errore”, spiegava Ludmila. “Come no”, rispondeva il francese. “Appena rientrati a Praga, il navigatore sarà punito”, azzardava lei. “Vi risparmio la fatica: vi arresto tutti e vi puniamo, qui”, sbuffava lui. “Ma non vede i passeggeri civili?”, provava lei. “Tutte spie del KGB”, ribatteva lui. “Ma è un aereo di linea!”, scoppiava lei. “Con una mitragliatrice?”, interrompeva lui, additando il tubo di Pitot, che su tutti gli aerei del mondo misura la velocità. “Deve ancora nascere il comunista che me la dà a bere!”.

“Ha detto bere?”, intervenne il comandante, cogliendo l’attimo. “Una buona Pilsener fresca?”. “Pil-se-ner?”, ripeté il francese con gli occhi sbarrati. “La nostra birra nazionale. Ne abbiamo ancora un po’ per il viaggio di ritorno, ma se non la conosce sarei lieto di dividerla con i suoi uomini”. Come per magia comparve una bottiglia, che l’ufficiale si portò alle labbra. “Ça va”, mormorò, indicando ai legionari di scaricare le casse che l’equipaggio stava già porgendo. “Per questa volta potete andare. Ma tenete il navigatore lontano dalla birra”. Il motorista riavviò i quattro Ivchenko AI-20M da 4.250 cavalli-albero. La porta si richiuse. Pochi minuti dopo, l’Ilyushin posava le ruote sull’aeroporto civile di Dakar-Yoff a pochi chilometri di distanza.

Si ringrazia Miroslav Jiindra

PILSENER

La cittadina boema di Pilsen produce birra dal 1295. Il moderno processo Pilsener fu perfezionato nel 1842 dal bavarese Josef Groll. Il marchio fu registrato nel 1859, in parte perché il prodotto era ormai diffuso e apprezzato in tutta Europa. Oggi ne esistono diverse versioni, prodotte secondo diverse tradizioni anche in Belgio, Germania, Olanda e Stati Uniti, oltre che nella Repubblica Ceca.

STAROPRAMEN PREMIUM

Fondata nel 1869 a Smíchov, Staropramen è oggi il secondo più antico produttore di birra della Repubblica Ceca ed è controllata da Molson Coors. La sua Premium è una Ležák, la più classica delle birre ceche chiare a bassa fermentazione (lager). Ha un morbido gusto di malto con una sfumatura amarognola. Basata sulla ricetta originale del 1884, ha 12 gradi (la parola Ležák indica proprio il numero), 5% di alcool ed è venduta in bottiglie e alla spina

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