Demografie e migrazioni
“Il mondo è in movimento, sulle gambe di milioni di donne, uomini, bambini: un esercito inerme, che marcia alla ricerca della propria salvezza. Sono loro, che fuggono dalla violenza e dalla morte, il nostro nemico? O il nemico, piuttosto, va visto nelle guerre e nel terrorismo internazionale, variamente alimentato, che vanno contrastati con decisione, anzitutto sul piano della cultura e della libertà?”. Una sintesi etica e politica di Mattarella, uno dei pochi presidenti di statura ideale e di fede in un’Europa frastornata da un pragmatismo sempre più vuoto e bolso.
Dalla visuale più ristretta dell’analisi strategica, va constatato il cambiamento concreto dalla concezione e strutturazione del Lebensraum (living space) a quello di un Lebensstandardraum (lifestyle space or living standard space), cioè dal vecchio spazio vitale pensato da Ratzel nel 1901 per giustificare l’espansione germanica nelle grandi pianure orientali, al presente spazio di tenori di vita in cui si dibatte la contemporaneità globale.
Non che le questioni di vita o di morte quotidiana siano diventate irrilevanti (più di un sesto dell’umanità soffre la fame e la denutrizione), ma quello che magnetizza le aspirazioni stesse della globalizzazione non è solo il vivere, ma il tenore di vita. È antiglobale (peraltro anche antiamericano) negare a qualcuno la legittimità di migrare in cerca della felicità: perché conquistador, cowboy o kibbutznik sarebbero meglio dei migranti dell’Eritrea, del Guatemala o della Mauritania? “Tutti noi esseri umani dovremmo aiutarci sempre, dovremmo godere soltanto della felicità del prossimo, non odiarci e disprezzarci l’un l’altro. In questo mondo c’è posto per tutti”.
La cosa tragicamente ironica, vista da un angolo conservatore, è che gli spazi a tenore di vita relativamente più alto sono Raum ohne Völker (spazio senza popolazioni) perché le civiltà post-opulente sono in crisi demografica: alla liberazione della donna dalla produzione seriale di figli, si sono sommate politiche nettamente antifamiliari di quasi tutti i governi cosiddetti liberisti.
Ergo nel 2060 un terzo dei residenti italiani non sarà nato né in Italia né nella “Fantastipadania” e questo vale per la maggioranza degli Stati europei, per non parlare di Russia e Ucraina in caduta demografica verticale. Conclusione: vanno concepite e attuate politiche integrate europee che riguardano demografia, accoglienza e istruzione pubblica. È una sfida di grande strategia, a petto della quale il turbinio di parole conservatrici su muri, respingimenti, cittadinanza decennale e nuove forme di adozione sono cosine da “ceto medio piccolo piccolo”.