Cybernetics

Di Luigi Martino

Centrali nucleari sotto cyber-attack
Secondo molti osservatori internazionali, il worm Stuxnet (che tra il 2008 e il 2010 ha colpito le centrali nucleari iraniane impegnate nell’arricchimento dell’uranio) è da considerarsi la vera “cyber arma” che, per complessità e precisione, rappresenta a oggi un caso di studio in materia di armamenti informatici. Il salto di qualità odierno però sembra essere un altro, dato soprattutto dalla capacità sempre più diffusa di attacchi State-sponsored di colpire e interrompere l’utilizzo (a volte anche distruggere) delle cosiddette nuclear facilities. Non è un caso se lo scorso giugno l’International atomic energy agency abbia dedicato una sessione plenaria ai rischi informatici. Ciò che preoccupa soprattutto gli analisti del settore è il rischio di exalation militare che potrebbe essere innescato dalla manomissione o distruzione degli impianti nucleari. In altre parole gli Stati, così come gli attori non statali o gruppi terroristici, potrebbero utilizzare le infrastrutture nucleari per colpire obiettivi politici o innescare una spirale di terrore contro gli avversari. I punti di maggiore preoccupazione sembrano essere due: la relativa assenza di una cyber-security specifica per il settore nucleare e in secondo luogo l’elevata capacità virale degli attacchi trasmessi tramite le infrastrutture energetiche in generale e quelle nucleari in particolare.
Il dibattito bilaterale avviato tra Stati Uniti e Cina in questo ultimo periodo sembra essere focalizzato sulla costruzione di “regole del gioco” condivise che, per l’appunto, prevedano l’inviolabilità delle infrastrutture critiche da attacchi informatici. Queste regole, forse proficue da un punto di vista del calcolo costi-benefici (molto caro agli Stati), perdono il loro valore se si cerca di applicarle al ben più complicato mondo degli attori non-statali e soprattutto ai gruppi terroristici.

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