CYBERnetics

Di Marco Andrea Ciaccia

Quando il gioco si fa duro…
Crimea, Egitto e Siria, sono esempi delle ultime guerre cognitive in cui a combattersi non sono più isolati regimi “rogue” (secondo la definizione bushiana) contro una vasta “comunità internazionale” – sinonimo di alleanza euro-americana con la benevola neutralità degli emergenti – ma un complesso e articolato sistema di alleanze cibernetico-mediatiche che passa per medie potenze regionali, erode e scava nel monopolio euroamericano e ne riduce la capacità di manovra. Il copione libico, in cui il fuoco informativo ha messo fuori gioco preventivamente l’avversario isolandolo non si ripete con la stessa meccanicità nella fase di squilibrio multipolare dove a dominare è la complessità organica, quasi biologica, di relazioni che mancano di un centro ordinatore. Ne è controprova l’eterno cuore energetico multipolare, cartina al tornasole dei nuovi rapporti di forza, il Golfo, dove sono in corso i rischieramenti di Iran, Turchia, Arabia Saudita e Israele, secondo dinamiche economiche e militari che si ramificano nel Mediterraneo orientale, via Egitto e Libia, fino a lambire l’Italia – la quale, in quanto potenza regionale, non potrà esimersi da una riflessione sul cambiamento in corso e sugli impatti per la sua sicurezza. Non tutti questi eventi sono controllati o controllabili dagli Stati Uniti, e una certa dose di “sorpresa” avvertita da Washington rispetto agli ultimi sviluppi non è frutto di limiti soggettivi di un personale politico-militare che è e rimane di prim’ordine, ma di dinamiche geopolitiche che ormai in modo autonomo irrompono anche sul piano informativo e scombinano i processi cognitivi dominati dalla filiera tecnologica Usa. Un certo ottimismo economico ed energetico (i 5 anni di ininterrotta ripresa di Wall Street, il boom dello shale gas) ha al tempo stesso offuscato e accumulato le contraddizioni esplose nelle ultime settimane. La realtà è che cambiano i segnali di sfida, vengono a mancare i codici per decifrarli e dunque diventa sempre più importante che gli alleati regionali siano presenti con loro autonome visioni per integrare il quadro generale. In questo quadro molti analisti Usa parlano di “fine delle grandi strategie”, ma potrebbe essere una forzatura, anche perché Washington una grande strategia ce l’ha ed è il pivot asiatico (che per inciso, offre una sponda a un asse Cina-Usa per controbilanciare un’alleanza Russia-India). Misurato su questa scala, il potenziamento cibernetico offensivo non è prioritario. Necessità di ricorrere costantemente all’effetto sorpresa, cambiamento continuo del quadro tecnologico, elusività del contributo sul campo fanno dire perfino a un esperto scientifico come Martin Libicki del Rand che la “guerra cibernetica non avrà e non dovrà avere un suo grande stratega”. Insomma, in un mondo resiliente non si potranno più abbattere (o forse nemmeno indebolire) i nemici solo a colpi di infowar o di bit. E con un’opinione pubblica americana non certo convinta della buona gestione della filiera Nsa-US Cyber commando – e una comunità strategica ormai consapevole che mezzi ipersofisticati di pressione tecnologica e mediatica non riescono a invertire o fermare spinte militari di natura strategica classica fondate su interessi sovrani fondamentali – è probabile che l’idea, talvolta accarezzata in ambienti militari occidentali (ma anche in alcuni settori cinesi), di una cyber-strategy che si sviluppa in autonomia, e che quasi risolve i problemi delle altre armi, tramonti definitivamente.

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