Il Pentagono e i cyber-guerrieri
Il Pentagono procede a passo spedito verso un’ampia riorganizzazione di diversi ambiti, compreso quello cyber, considerato ormai fondamentale. A chiarirlo con una certa precisione è stato di recente il vice segretario della Difesa, Patrick Shanahan. Per il numero due del dipartimento, ripreso dai media americani, il 2018 sarà un anno nel quale l’amministrazione Trump dedicherà un bel po’ di tempo alle questioni informatiche. La Strategia di sicurezza nazionale del presidente rilasciata il mese scorso ha posto l’accento sulla necessità di incrementare le capacità cyber del Paese, mentre l’imminente Strategia nazionale di difesa, che sarà diffusa nelle prossime settimane, dovrebbe contenere indirizzi più chiari per affrontare la questione. In particolare, ha spiegato Shanahan, si punterà a ridurre il ritardo che il mondo militare ritiene di aver accumulato nei confronti del settore commerciale.
Il tema, ha evidenziato Fifth Domain, è direttamente collegato al vero cambiamento che interesserà il dipartimento della Difesa Usa nell’imminente futuro, ovvero il rinnovo della sua struttura di gestione e acquisizione. Il primo grande passo in questa trasformazione è già arrivato il 2 gennaio, quando John Gibson è diventato il primo vero chief
management officer del dipartimento (la posizione è di per sé abbastanza nuova; il primo, Elizabeth McGrath, è entrato in carica nel luglio 2010, ma a causa di una serie di riforme spinte dal Congresso negli ultimi anni, si è deciso di elevare il profilo e le competenze di questo ruolo, la cui importanza si è rivelata essere crescente). Nell’ambito del citato piano di riorganizzazione, il cmo si avvarrà di sei cosiddetti “leader delle riforme” che supervisioneranno le modifiche in vari ambiti. Uno di questi responsabili, di concerto con Gibson e con lo stesso vice segretario Shanahan, si occuperà della gestione dei progressi dei sistemi IT, che saranno oggetto anche di uno specifico programma di ottimizzazione e di un’innovativa sperimentazione nel campo del cloud computing. Quella organizzativa, d’altronde, è solo una delle sfaccettature della rivoluzione informatica in corso da tempo nelle Forze armate americane.
Secondo un rapporto di Govini, solo lo scorso anno il Pentagono ha investito circa 7,4 miliardi di dollari in Intelligenza artificiale, big data e cloud con l’obiettivo di cambiare i moderni conflitti. A preoccupare il dipartimento sono in primo luogo i progressi che potrebbero giungere (e che in parte stanno arrivando) dalla Cina e dalla Russia. Per queste ragioni, anche sul piano operativo, Washington sta agendo con determinazione. Dopo aver elevato il Cyber command a Comando unificato di combattimento (attribuendogli cioè maggiore autonomia dall’Nsa e rendendolo una delle strutture militari che possono effettuare missioni all’estero), di recente l’esercito americano ha annunciato che invierà presto squadre di cyberguerrieri sul campo – integrandoli per sei mesi nelle unità di fanteria – con l’intento di attaccare le reti informatiche nemiche (una tattica già sperimentata, secondo alcuni esperti, contro diverse basi dello Stato islamico).
Tuttavia, mentre le missioni dei soldati in battaglia sono generalmente poco varie, le truppe cibernetiche – reduci da tre anni di formazione e addestramento in un enorme centro nel sud della California – si presteranno a molteplici obiettivi, in linea con le caratteristiche e le opportunità offerte dallo spazio cibernetico. Ad esempio, serviranno a creare confusione o a ottenere il controllo di mezzi avversari. Oppure a raccogliere informazioni utili o a intercettare attacchi pianificati prima che questi avvengano.