Sette occhi vedono meglio di cinque
Nel precedente numero di Airpress abbiamo riportato l’ipotesi lanciata dall’Atlantic council di un ampliamento del Five eyes a Paesi di tradizione liberal-democratica: Francia, Germania, Giappone, Corea del Sud e “forse” Unione europea. Un’aggiunta a margine, quella di Bruxelles, particolarmente significativa. Quanto lo è, di per sé, l’offerta di entrare nel club – attualmente ristretto a Usa, Gran Bretagna, Canada, Australia e Nuova Zelanda – rivolta a Paesi che, pur essendo alleati solidi, non rinunciano ad affermare i loro interessi senza timidezze, e certo in una direzione più impegnativa per Washington di quanto non facciano le due potenze dell’Oceania o il placido vicino nordamericano. Soffermandoci solo sul versante europeo, si può notare come la Germania sia al centro di molti snodi legati al post-Snowden. Il Guardian, che ha seguito la vicenda fin dall’inizio, maliziosamente osserva che la polemica tedesca sulle intercettazioni è funzionale a una promozione all’interno del “club”. Da Berlino ha risposto per le rime qualche settimana fa Annegret Bendiek, ricercatrice dell’Istituto di po- litica e scienze sociali (Swp), notando altrettanto maliziosamente che, di fronte alla crescente insofferenza europea per “la pesante dipendenza digitale” dai gruppi Usa, non ci sarà da contare sull’appoggio britannico, essendo più che pro- babile che Londra continui ad appoggiare l’egemonia digitale statunitense. A questo punto potrà essere letta in vari modi la proposta del ceo di Deutsche Telekom di creare una “Schengen dei routers”, che impedisca la migrazione di informazioni elettroniche originate nella Ue in giurisdizioni che non applicano le norme di protezione dati europee: una (improbabile) reazione di nazionalismo digitale, una sveglia suonata al proprio governo che traccheggia su molte questioni legate alla protezione dati pan-europea, oppure un rilancio in grande stile in vista delle trattative per l’accordo di partnership commerciale transatlantica, che dovrà ovviamente trattare anche di servizi e tlc, e in cui Berlino ha da sempre un ruolo-chiave. La Francia dal canto suo ha lanciato il piano del- la difesa cibernetica, investendo 1 miliardo di euro e individuando nel distretto tecnologico della Bretagna il polo di eccellenza della cybersecurity nazionale. Sembra una conferma indiretta dell’alleanza anglo-francese, e non soltanto per l’importanza (che certo non è sfuggita al bretone ministro della Difesa Jean-Yves Le Drian) di svi- luppare con capitali anche esteri una regione che ha da sempre retaggi e legami con l’altra sponda della Manica. Per Parigi la sottile differenza con Berlino – avvertita nelle settimane di “gelo” mediatico su Hollande – è il non disporre della stessa profondità strategica di chi è baricentro naturale di qualsiasi rete antimissile in Europa orientale e ha già mostrato la sua disponibilità a fare di più in questo senso (specie tra le correnti vicine alla marina). Se si considera la dimensione missilistico-spaziale, intrecciata strettamente alle comunicazioni militari e civili, l’Esagono è costretto a spingere sull’alleanza con Londra (e/o a cercare legami da “gollismo globale” con la potenza nascente dello spazio, l’India) per non restare cieco rispetto alle evoluzioni geopolitiche. A ciascuno il suo: Berlino con il suo freddo linguaggio tecno- cratico, Parigi con la sua grande politica elettronico-spaziale mirano a ristrutturare l’accordo e superarne il carattere di “club anglosassone”. Intanto, Washington ha aperto uno spiraglio.