Il barone rosso

Di Alessandro Politi

Armi, petrolio e imbroglio
Dopo aver risposto a mamme preoccupate per l’imminente attacco del Feroce Saladino, è ora di cominciare l’anno con una ferale notizia (certificata Ihs Jane’s), taciuta da tutti i media pacifisti: per la prima volta nella storia, la Nato sarà numero due nelle spese militari mondiali a partire dal 2019! In altri tempi non si sarebbe parlato d’altro alle feste dell’Unità e tra gli alternativi di vario colore, ma adesso la crisi imbavaglia con la sua tirchia e dissennata austerità anche gli spiriti antagonisti. Le cattive notizie non vengono mai sole: anche i Paesi Mena (Middle East North Africa) bloccano le spese a causa del crollo dei prezzi del petrolio. “Non è imbroglio… è petrolio” diceva Lucio Battisti nella sua attualissima canzone Confusione. Chi ha retto il grosso delle spese Nato erano i nostri amici americani, che però adesso stanno riducendo il budget a rotta di collo, con un minimo storico da un decennio nei settori investimento, approvvigionamento, ricerca e sviluppo nel 2014 e nel 2015. Se scatteranno altre riduzioni dovute al meccanismo di sequestro automatico della spesa, sarà ancora peggio. Naturalmente per le industrie d’armamenti c’è sempre un nuovo interessante mercato, come la vasta area dell’Asia-Pacifico, ma ci saranno anche tanti concorrenti che vogliono compensare i cali del mercato nazionale. Tuttavia, c’è molto da vedere in positivo. Innanzitutto, una riduzione della retorica sul paventato pericolo russo, perché la spesa militare raggiungerà un picco nel 2015, ma poi, con un periodo di bassa petrolifera, dovrà scendere. Se a questo si aggiunge che la Russia è un Paese in netto declino demografico (-6% della popolazione nel 2030), possiamo guardare con più freddezza alla crisi ucraina, senza perdere di vista l’essenziale di restaurare equilibri e legalità negli affari internazionali europei. In secondo luogo, la Nato non ha bisogno dell’ennesimo round sul capzioso argomento del burden sharing e i tagli americani dovrebbero chiudere questo circo delle chiacchiere per un po’. Poiché farsi la guerra tra poveri sui bilanci in calo è da sciocchi, le difficoltà comuni possono unire più del famoso nemico esterno. Meno denaro significa più ingegno nel valorizzare le risorse comuni, più impegno nell’ottimizzare le industrie della difesa europee, meno stravaganze lobbistiche, più capacità d’apprezzare contributi diversi e intangibili all’Alleanza. Più politica, con un po’ di fortuna. In terzo luogo, c’est l’argent qui fait la guerre e con meno soldi ci sono meno tentazioni di fare wars by choice. In genere una cattiva scelta.