Il barone rosso

Di Alessandro Politi

Macrorischi globali e politica industriale

Sul piano industriale di Finmeccanica dovremmo presto avere notizie significative, ma è interessante dare un’occhiata al contesto macro-politico in cui questo piano dovrà svilupparsi. Il piano parte da un’au- stera politica di autofinanziamento, riduzione del debito e aumento dei profitti. È un vero e proprio bootstrap, che ha bisogno di mercati verso i quali esportare, in modo da migliorare i ricavi e risanare la situazione finanziaria senza ulteriori prestiti. A vedere dalle stime di Ihs Jane la domanda è debole: tra il 2014 e il 2018 il mercato Usa cala del 2% sul bilancio statale complessivo, quello ci- nese e russo salgono del 2%, quello indiano è stabile al 4%, quelli francese e giapponese vanno a un -1%, Arabia Saudita e Germania stanno fermi al 2%, l’Australia sale dell’1% e il resto del mondo cala dell’1%. Nemme- no i mercati considerati più interessanti, sono esenti da serie incognite: i britannici dovranno affrontare una revisione delle spese dopo il maggio 2015 (mese elettora- le), mentre per gli americani non è esclusa una nuova sequestration. In estrema sintesi: il mercato russo militare è off-limits; quello cinese cresce, ma difficilmente per arma- menti euroamericani, e quelli mediorien- tali non crescono, senza nemmeno tenere in conto gli effetti delle molteplici crisi eco- nomiche del mondo. È utile ricordare che il Global outlook 2015 del Cemiss ha posto l’attenzione su due macrorischi globali che hanno effetti destabilizzanti sui mercati. Il primo è l’aumento del debito mondiale e la sua mancata riduzione dopo il crack im- mobiliare e dei derivati statunitensi. Poi- ché tanto il dollaro quanto l’eurozona non hanno ridotto il proprio debito, non si rie- sce a capire quali fondi attivi sostengano i mercati. Sic stantibus rebus, diversi Stati sa- ranno costretti a indebitarsi ancora di più per comprare sistemi di difesa. Se nel 2006 abbiamo avuto un crack con il 70% di debito sul Pil mondiale, arrivati a quota 100% i rischi saranno ancora più seri. Il secondo è il crollo dei prezzi petroliferi. L’eccesso d’offerta di materie prime energetiche è unica- mente frutto dell’accumulo di shale negli Stati Uniti. Su questo fatto si è innestata la manovra saudita ribassista per mantenere le proprie quote di mercato. Se nel giro di un anno la produzione iraniana comincerà ad arrivare al mercato, la depressione dei prezzi rischia di durare più a lungo del 2015, creando seri problemi di break-even sociale e di bilancio per molti potenziali importa- tori di sistemi d’arma. I primi sette della lista sono: Venezuela, Yemen, Algeria, Iran, Nigeria, Bahrein e Iraq. Al decimo posto c’è l’Arabia Saudita. Per questi fattori, una lista di potenziali acquirenti degli Efa Typhoon, stilata dalla Bae nel 2013, appare meno pro- mettente. Nel frattempo l’andamento del programma F-35 non mostra ancora quella svolta tanto sperata e rischia di far entrare in linea un mezzo con capacità inferiori a quanto promesso, magari da migliorare in seguito: un po’ come certi prodotti informa- tici correnti. Se sono rose…