I ricordi della missione
Il 15 ottobre 1997, circa alle 3 del mattino, osservavamo tutti la rampa 40 di Cape Kennedy aspettando l’accensione del TitanI V B che doveva portare in orbita CassiniHuygens. Fu uno dei primi esperimenti Esa-Asi-Nasa in cui gli italiani avevano un ruolo di premiership rilevante, poi sempre mantenuto negli anni successivi. Per molti dei ricercatori presenti, eravamo tutti molto giovani, era la prima esperienza spaziale concretizzatasi realizzando vari strumenti dal Vims, al Rsis, al radar al Hasi.
Io da tempo avevo avuto l’onore di essere nominato membro del Consiglio scientifico dell’Asi e, prima ancora, del Piano spaziale italiano del Cnr, che gestiva l’impegno istituzionale italiano nello spazio. In entrambi gli organismi coordinavo i settori Infrarosso e Planetologia, piuttosto nuovi in Italia, che si stavano sviluppando rapidamente: il primo nei laboratori universitari e il secondo piuttosto nel Cnr grazie ai consolidati rapporti con la Nasa del gruppo romano. Io venivo dal successo della missione Giotto in cui avevamo osservato la cometa di Halley e avevo sostenuto convinto il desiderio dei ricercatori di essere nel front end delle nuove missioni spaziali che stavano nascendo. I ricercatori romani avevano accumulato una grande esperienza studiando le immagini Nasa di vari corpi celesti; costruire qualcosa “per andare a vedere in prima persona” era l’ovvio passo successivo da compiere. La proposta fu presentata al Consiglio scientifico dell’Asi e poi al cda, fu accettata all’unanimità nonostante qualche mugugno di vecchie cariatidi che chiedevano come mai questi giovani osassero tanto: la proposta tecnica e manageriale erano perfette e inattaccabili.
Erano gli inizi del 1989, l’Asi faceva i suoi primi passi qualificandosi grazie alla professionalità di tanti giovani e brillanti ricercatori. Arrivammo a Cape Kennedy pochi giorni prima del lancio per gli ultimi test e per sostenere i nostri tecnici che erano lì da più tempo per garantire il successo dell’iniziativa. Tutto filava e filò bene sino alla fine. Lo spirito di corpo tra noi italiani e i colleghi stranieri presenti negli stessi esperimenti era magnifico: anni di lavoro insieme dove mai nessuno aveva tentato di prevalere sull’altro.
Per rallentare la tensione, il giorno prima del lancio fu organizzata una grande partita di calcio senza vinti né vincitori a cui tutti parteciparono: ne conservo ancora la foto finale. Il razzo partì correttamente e più tardi ci confermarono che il terzo stadio Centaur aveva correttamente messo la sonda sull’orbita verso Saturno. Alcuni tra i più vecchi di allora ci hanno lasciato; resta sempre l’affetto e il ricordo: fu anche grazie a loro se la missione è stata un grande successo e i più giovani del gruppo festeggeranno in California il tuffo finale nell’atmosfera del pianeta.