Un Mastro Lindo nello spazio
A oggi si stimano circa 21mila detriti di dimensioni superiori ai 10 cm in orbita, che salgono a 600mila se si prendono in considerazione anche quelli superiori al centimetro. Una nube pericolosa avvolge dunque il nostro pianeta rappresentando un serio pericolo sia per sonde e satelliti che devono attraversarla sia per gli astronauti che lavorano alla Iss: la velocità media di questi detriti infatti è di oltre 25mila km all’ora.
Da alcuni anni il fenomeno, proprio per le sue dimensioni, ha richiesto la firma di un accordo internazionale gestito da una speciale commissione Onu, l’Inter agency space debris committee. Quest’ultima, incaricata di controllare i detriti nello spazio, ha imposto che ogni nuova missione preveda, anche nella fase finale di decommissioning, che a bordo dei satelliti rimanga abbastanza carburante per permettere un rientro in atmosfera “guidato” per ridurre al minimo il rilascio di elementi potenzialmente pericolosi.
Resta però il problema di come “pulire” lo spazio dai rifiuti esistenti. In questa ottica si pone il progetto Clean Space On (CSO) con l’obiettivo di agguantare piccoli satelliti dismessi, per trascinarli in basso in atmosfera dove dovrebbero distruggersi. CSO è in fase di sviluppo, ormai da tre anni, presso il Centro di Ingegneria aerospaziale del Politecnico federale di Losanna e dovrebbe diventare operativo nel 2018.
Il prototipo, denominato Pac Man come il famoso gioco, è in fase avanzata: si tratta di un satellite in grado di individuare “la preda”; una volta individuato il bersaglio il satellite si avvicina all’oggetto facendo fuoriuscire una rete conica che lo fagocita imprigionandolo. Tecnicamente l’operazione presenta problemi complessi: infatti ogni detrito di dimensione superiore ai 10 cm, riflette la luce solare in maniera differente nelle sue varie parti in funzione della propria orbita, velocità di rotazione su se stesso e orientazione rispetto al Sole. Da qui le necessità di elaborare complessi algoritmi di individuazione visiva che permettano alla telecamera di bordo di centrare il bersaglio consentendo poi l’avvicinamento una volta stimata la velocità relativa rispetto al CSO. La prima tappa prevede di recuperare lo Swiss Cube, un minisatellite svizzero in orbita dal 2009. Se avrà successo, sarà compiuto un primo passo per la soluzione del problema dei detriti spaziali più grossi. In Giappone invece si è sviluppata l’idea di una sorta di calamita, valida solo per i detriti di dimensioni piccole. La Nasa, ancora agli inizi, sta valutando l’uso di un laser di potenza per polverizzarli mentre l’Esa, utilizzando un telescopio nelle Canarie, per ora tiene i detriti sotto osservazione e ha al vaglio diverse soluzioni senza ancora averne scelto una. Ancora oggi il problema resta e si spera possa essere affrontato in maniera coordinata a livello internazionale per ovvi motivi di efficacia nell’azione e migliore copertura globale.