Impronte digitali

Di Maurizio Mensi

Impronte facciali in giro per New York

Il 6 ottobre scorso il governatore dello Stato di New York, Andrew Cuomo, ha dichiarato che, per ragioni di sicurezza, intende installare sensori in grado di leggere le targhe delle auto e software per sistemi di riconoscimento facciale, da collocare agli incroci stradali e in prossimità di punti sensibili come tunnel e ponti fuori Manhattan. Il che, ha immediatamente suscitato polemiche e riportato al centro del dibattito le delicate implicazioni di una tecnica, quella dell’identificazione biometrica e in particolare facciale, che appare destinata a un sempre maggiore utilizzo e che evoca le suggestioni di Minority Report, film di successo di qualche anno fa, ove la polizia riusciva a prevedere i reati prima che fossero commessi. Secondo quanto rivelato dal New York Times, in occasione dei giochi olimpici di Sochi del 2014, grazie a una tecnologia chiamata VibraImage – simile a quella di una società di Chicago che sta brevettando un sistema che consente, mediante algoritmo, di prevedere il comportamento basandosi sull’espressione, la condotta tenuta e quanto detto da chi è protagonista di video già disponibili in rete – è stato possibile scansionare il volto di milioni di visitatori, così da consentire ai servizi di sicurezza russi (Fsb) di individuare coloro la cui espressione facciale rivelava uno stato di agitazione mentale, tale da far presumere un’imminente minaccia. Il governatore Cuomo ha sostenuto che occorre proteggere le strutture vulnerabili senza precisare peraltro quanti impianti conta di utilizzare, dove collocarli ma soprattutto come saranno trattate e in quali banche dati allocate le immagini raccolte per mettere a confronto i volti dei milioni di automobilisti che ogni giorno arrivano a New York.

In realtà, è proprio in base alle concrete modalità e condizioni di utilizzo che può verificarsi la legittimità di una tecnica che presenta rilevanti e delicati implicazioni per la privacy, come dimostrato dal rigore sul tema da parte delle varie autorità per la privacy. Dalla capacità di prevedere il comportamento degli individui a quella di orientarlo il passo non è troppo lungo e non sono soltanto le forze di sicurezza e i soggetti pubblici a poter fare uso di tali tecniche. Risulta che l’Fbi disponga di una banca di dati biometrici poderosa, progettata per contenere svariati milioni di immagini di volti, per lo più di cittadini che non sono mai stati sospettati di un crimine, e che il dipartimento per la Sicurezza e altre agenzie Usa non solo si scambino fra loro dati e confrontino le immagini dei sospetti, ma siano già in possesso di tecniche avanzate di riconoscimento facciale. Lo stesso Fbi, a maggio, ha chiesto di essere esonerato dall’obbligo di rivelare chi si trovi nel database e di poter custodire senza limiti di tempo tali dati, così da essere in grado di prevedere futuri crimini. Insomma, il tema è quanto mai scottante e sembra destinato ad alimentare con vigore l’annoso e dibattuto dilemma privacy versus sicurezza.

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