La (falsa) partenza della macchina spaziale Usa
Durante il primo anno nell’amministrazione Trump non sono mancati elementi che evidenziano l’importanza strategica che lo spazio continua ad avere negli Stati Uniti. Partendo dalla riattivazione del National space council a livello di vice presidente; all’invito alla Nasa, sempre a voce del presidente, di accelerare lo sviluppo del lanciatore di nuova generazione identificato come “Sls” (Space launch system), fino a chiedere di avere astronauti a bordo del futuristico razzo sin dal primo volo; alla nomina del nuovo amministratore di Nasa, persona giovane, motivata e capace (almeno nel come era stato presentato); alla nuova direttiva di politica spaziale (New space policy directive) firmata dal presidente in persona per tornare al più presto sulla Luna. Sembrerebbe una partenza “spaziale” in tutti i sensi, ma qualcosa non ha funzionato.
La Nasa, ancora oggi, ormai a 2018 iniziato, non ha un amministratore. Il Congresso, infatti, deve ancora confermare la proposta presidenziale (nell’imbarazzo di tutta la comunità spaziale). L’amministratore facente funzioni, Jim Bridenstine, ha commentato la sua permanenza da primato con un timido: “Sono pronto a ricevere il nuovo amministratore che spero arrivi presto”. E intanto il tempo passa. Per la situazione odierna, anche se la nomina dell’amministratore riuscisse a passare, sarebbe comunque una nomina politica, e quindi non completamente in sintonia con una Agenzia che invece ha sempre cercato il supporto trasversale.
Nel frattempo, non si vedono preparativi per le ambiziose destinazioni definite dalla nuova direttiva presidenziale, anzi. In risposta all’invito ad accelerare i tempi della ripresa dei voli di astronauti americani e in particolare all’idea di mettere uomini a bordo del primo volo di Sls, la Nasa ha diplomaticamente detto di no. Troppo tardi, troppo complicato, troppo costoso, e addirittura rallenterebbe ulteriormente il programma già in grave ritardo. Come se non bastasse, anche i nuovi attori del mondo commerciale (SpaceX e Boeing), entrambi in maniera più o meno esplicita, annunciano o preannunciano ritardi. C’è da aggiungere poi che l’amministrazione Trump ha annunciato che i fondi per la Stazione spaziale internazionale (Iss) si fermeranno nel 2025 togliendo di fatto la possibilità, a meno di ripensamenti, di portarla operativa fino al 2028. Quindi grandi ambizioni, ma ancora molta incertezza, forse troppa.
La partenza c’è stata. La riattivazione del National space council è stato probabilmente un primo passo importante, che tuttavia il sistema non ha seguito. Lo stallo in Congresso attorno al nome del nuovo amministratore e le difficoltà tecniche e tecnologiche dei nuovi vettori spaziali creano un clima di grande incertezza che non sembra destinato a migliorare nel breve, e neppure nel medio periodo. Insomma, la partenza c’è sicuramente stata, ma forse si potrebbe definire meglio come una falsa partenza.