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L’Italia che può fare la differenza in Libia
Lo scorso 4 gennaio, l’attacco delle milizie di Daesh al terminal portuale petrolifero di Sidra ha evidenziato come l’organizzazione jihadista sia orientata a riproporre, in Libia, lo stesso efficiente modello strutturale sviluppato in Siria e Iraq. I miliziani del Califfato, dopo aver posto sotto la propria bandiera numerose e variegate realtà politico-sociali (ex lealisti di Gheddafi a Sirte, miliziani estremisti a Derna e Bengasi, bande armate su base etnica nel Fezzan), hanno iniziato a modellare la propria economia, a cominciare dal controllo di alcune rotte del traffico di esseri umani fino alla tassazione diretta su quel che resta della attività produttive locali. Il tentativo di conquistare le infrastrutture per la commercializzazione del petrolio rappresenta l’ipotetico salto di qualità per una rete terroristica che ambisce a costituirsi quale vero e proprio Stato de facto. L’acquisizione di fondi derivanti dal controllo del flusso di una risorsa strategica come il petrolio costituirebbe un possibile punto di svolta nel processo di sedimentazione del potere da parte dello Stato Islamico che, in Libia, ha aumentato le proprie acquisizioni territoriali e la portata della minaccia, sia contro i fragili e litigiosi governi di Tripoli e Toubruk sia contro gli interessi e la sicurezza occidentale. L’avanzata del Califfato mette in seria difficoltà una comunità internazionale che, nonostante il reiterato tentativo di trovare una via d’uscita puramente negoziale alla crisi libica, deve confrontarsi con la concreta eventualità di una missione militare che spiani la strada e accompagni l’opera della diplomazia e del difficile dialogo tra le forze politiche e sociali sane del Paese. Qualora l’eventualità si trasformasse in necessità, l’Italia appare pronta a sostenerne le responsabilità e i costi operativi e logistici. Infatti, il nostro Paese dispone sia di un esteso expertise sedimentato in oltre 20 anni di missioni internazionali sia degli appoggi diplomatici indispensabili a una simile azione, fuori e dentro il Palazzo di vetro, come dimostrato dalla nomina del generale Paolo Serra a consigliere militare del Rappresentante speciale del Segretario generale Onu per la Libia, il tedesco Martin Kobler. Tuttavia, l’impiego o meno del nostro eccellente comparto militare non può e non deve prescindere dalla definizione di una strategia politica precisa e di altrettanto precisi obbiettivi militari. La possibile azione italiana in Libia dovrà essere chiara, diretta e mirata poiché, in un contesto nebuloso come quello del grande Paese nordafricano, non si può correre il rischio di intervenire lasciando il minimo spazio all’improvvisazione.