Strategicamente

Di Andrea Margelletti

Italia, Nato e un semestre prezioso
L’instabilità generata dalla crisi ucraina sta nuovamente alimentando il dibattito sulla disparità di investimenti nella Difesa tra gli Stati Uniti e gli altri Paesi partner della Nato. Nel corso del suo recente intervento al Woodrow Wilson International Center di Washington, il segretario alla Difesa americano, Chuck Hagel, ha tenuto a rimarcare come gli Stati Uniti si aspettino uno sforzo economico maggiore da parte dei principali Paesi europei a sostegno delle capacità operative della Nato come segno tangibile dell’impegno solidale alla protezione dei confini dell’Alleanza dal Baltico al Mediterraneo. La necessità americana di poter contare su una maggior consistenza militare della “gamba” europea della Nato a protezione dello spazio euro-mediterraneo è estremamente sentita, non solo in chiave anti-russa, ma anche, e soprattutto, quale necessario contrappeso al ribilanciamento dello strumento militare di Washington verso il Pacifico attualmente in atto. Le istanze americane, tuttavia, giungono in un momento in cui i principali partner europei (Gran Bretagna, Francia, Germania e Italia) sono impegnati nel sostenere la ancora incerta ripresa economica continentale e, conseguentemente, sono del tutto impossibilitati ad aumentare gli stanziamenti per la Difesa verso il parametro obiettivo del 2% del Pil richiesto dagli Stati Uniti. Tuttavia, la profonda precarietà della situazione ucraina, la necessità di rassicurare i partner Nato dell’Europa dell’est (timorosi del rinnovato attivismo russo) e la corsa agli armamenti in atto in Medio Oriente e in Asia dovrebbero finalmente spingere i Paesi europei a una profonda riconsiderazione della dinamica della spesa per la Difesa. In tale ottica, più che favoleggiare di aumenti degli stanziamenti, a oggi impossibili, sarebbe preferibile ragionare sui piani dell’integrazione degli strumenti militari e dello sviluppo delle nuove tecnologie. Sotto il primo aspetto, sarebbe opportuno operare promuovendo una maggiore interdipendenza tra i Paesi europei attraverso la costituzione di unità multinazionali permanenti di pronto impiego realmente utilizzabili. Sotto il secondo profilo, sarebbe auspicabile ragionare sul finanziamento con appositi fondi europei di filiere tecnologiche in grado di garantire l’indipendenza strategica e militare del Continente. In particolare, tra i settori di maggior rilievo in chiave futura, troviamo la missilistica, la cyberwarfare, le tecnologie destinate alla realizzazione dei droni e la comunicazione e osservazione satellitare. Il nostro Paese, forte della sua storica sensibilità convintamente europeista e atlantista, potrebbe giocare, grazie alla prossima presidenza semestrale europea, un efficace ruolo di sintesi propositiva sia per un nuovo impulso all’integrazione europea in ambito militare sia per un maggiore sviluppo delle relazioni Ue-Nato in una logica di maggiore interdipendenza.

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