Le elezioni si avvicinano e il settore della Difesa inizia a farsi le prime domande sul suo futuro nei prossimi cinque anni. La legislatura, che sembrava conclusa con la notizia positiva dell’approvazione della legge sulla governance spaziale, la cui implementazione è attesa con l’insediamento del nuovo Parlamento, ha riservato sorprese (spiacevoli). Le conclusioni della Commissione d’inchiesta parlamentare sull’uranio impoverito sono state una doccia fredda per il comparto, senza peraltro aver messo d’accordo i suoi membri e gli esperti coinvolti, che si sono sentiti tirati per la giacchetta in un documento i cui esiti sono alquanto incerti.
Nella campagna elettorale sta comunque mancando una vera attenzione per il settore da parte dei candidati, che si limitano a sortite ad effetto sui temi della sicurezza. Come la recente del leader del Carroccio che propone un ritorno alla leva obbligatoria della durata di sei mesi, come rimedio al terrorismo e alla salute della democrazia. Sempre Salvini si era già espresso in maniera critica, non in merito all’Alleanza atlantica in sé, ma alla presenza delle basi Nato nel nostro Paese. Il candidato premier del M5S, Luigi Di Maio, ha invece espresso dubbi sulla presenza del contingente italiano in Afghanistan, ribadendo la contrarietà del Movimento alla missione Nato “Sostegno risoluto” di cui facciamo parte. Sembra mancare tra i partiti una chiara visione strategica sulle priorità da mettere in campo nella Difesa.
Sicuramente sarebbe utile che le nuove Camere portassero avanti una legge di spesa pluriennale per il finanziamento sessennale dei programmi di interesse della Difesa. Non meno importante e necessario sarebbe inoltre un rafforzamento del supporto all’export anche attraverso un ampliamento delle possibilità di stipulare accordi G2G (governo-governo), come avviene già in Francia e in Gran Bretagna. Il comparto attende anche un maggiore sostegno ai programmi di ricerca-sviluppo e innovazione. A soffrire è soprattutto il settore cyber che avrebbe bisogno di maggiore attenzione e lungimiranza. Basterebbe dare un’occhiata alle risorse che gli altri Paesi dedicano alla sicurezza cibernetica per comprendere quanto ci sia ancora da fare in Italia. Su questo punto, il Movimento 5 Stelle sembra essere d’accordo, prevedendo, nel suo programma, di spostare investimenti da armamenti tradizionali alla cyber-security. E visto che la Difesa europea bussa alla porta, sarebbe anche opportuno, da parte del nuovo Parlamento, predisporre un extra stanziamento per garantire la partecipazione italiana ai futuri nuovi programmi europei, visto che non posso essere coperti dalle attuali risorse completamente assorbite dai programmi in essere.