Gli accordi stretti tra Parigi e Berlino ci preoccupano. Inutile negarlo. L’intesa (il cosiddetto trattato di Aquisgrana), pur non costituendo un elemento nuovo nella collaborazione (anche industriale) fra le due potenze del Vecchio continente, arriva però in un momento difficile tra noi e la Francia. Una stagione travagliata, culminata in ripicche, provocazioni e dispettucci. Sebbene ci sia sempre stato un certo antagonismo tra Roma e Parigi, oggi i rapporti tra i due Paesi sono ai minimi storici (l’Eliseo ha anche richiamato l’ambasciatore in Italia Masset per consultazioni). Dai gilet gialli, ai litigi per la Polizia ai confini, la questione dei migranti, la Tav, la polemica sul Franco CFA in Africa, la posizione in Europa in vista delle elezioni di maggio, l’indagine dell’Antitrust di Bruxelles sull’acquisizione di Stx da parte di Fincantieri.
Un confronto che fa male anche alla nostra industria. Perché alla base delle intese economiche tra Paesi c’è sempre un rapporto politico costruttivo. Ora che manca, ci si chiede che impatto avrà sui nostri interessi strategici. La questione si intreccia a doppio filo con il mondo della difesa e dell’aerospazio (che vive di collaborazioni con il mercato internazionale e con i Paesi che in Europa si occupano principalmente del comparto, guarda caso Francia e Germania), un settore in cui, come ben sappiamo, la maggior parte dei programmi decisi da un governo è capace di vincolare per anni uno Stato. Per questo, le scelte che Francia e Germania potranno adottare nel campo della difesa e dell’aerospazio saranno determinanti anche per le decisioni industriali dell’Italia. I timori sul futuro delle attribuzioni dei fondi europei per la difesa non mancano.
Quanto al dossier spazio, la ministeriale Esa che andrà a ridefinire gli equilibri interni dei contributori in ambito europeo e le strategie future, è un appuntamento (novembre a Siviglia) che le diplomazie dei Paesi stanno preparando da tempo e che non sarà immune agli scricchiolii che oggi stiamo attraversando. In questo quadro difficile, l’Italia non può che rimboccarsi le maniche, cucirsi la bocca e lavorare con il resto dell’Europa, guardando con maggiore attenzione Londra e Berlino (con la prima le occasioni di collaborazione e di sbocco per la nostra industria sono numerose e la Brexit non sembra frenare questo trend). Altra raccomandazione è non fare del male (inutilmente) alla nostra industria, parliamo del principale player, Leonardo, con pubblicazioni infondate che ne minano la reputazione (a fatica ricostruita dopo le inchieste su Agusta in India concluse nel nulla) invece di remare a favore del sistema-Paese. Tutte facce diverse di uno stesso autolesionismo che non ci possiamo permettere. Ora meno che mai.