, Editoriali

I tagli alla difesa sono stati tagliati e in modo particolare sono state limitate le riduzioni inizialmente previste negli investimenti. Si rischiava una sforbiciata pari a trecento milioni di euro: invece sarà “solo” di cento milioni. Inoltre, sono stati salvati gli stanziamenti del ministero dell’Interno sul programma “Tetra” e messi trenta milioni sul programma Cosmo-SkyMed 2. Bisogna essere onesti intellettualmente: l’impegno del ministro Pinotti, del governo e del Parlamento, ha consentito di evitare le conseguenze più drammatiche. Difficile davvero pensare di poter ottenere di più alle condizioni date. Anche sul versante internazionale, a proposito del programma Jsf – quello del tanto contestato acquisto dei caccia F-35 – le notizie sono positive: da un lato infatti l’Italia non ha smentito gli impegni presi (pur sfruttando ogni possibile spazio di flessibilità) e dall’altro ha incassato l’accordo per basare a Cameri l’attività di manutenzione delle fusoliere degli aerei. Non era una decisione scontata e non è stato un caso che a dare questo annuncio siano stati l’ambasciatore degli Stati Uniti e il nostro ministro della Difesa. I governi, e in particolare quelli di Washington e di Roma, hanno ribadito il valore di un’alleanza strategica che va però ulteriormente rafforzata, sia nella relazione bilaterale sia in ambito Nato. Il punto infatti sta tutto qui. Siamo riusciti, come Paese, a evitare lo scenario peggiore sul piano interno e persino a ottenere un premio dagli Usa sugli F-35. Tutto bene, quindi? Non proprio. Gli investimenti nella difesa continuano a decrescere al contrario di quanto stabilito nel vertice Nato del Galles e di quanto anche solo il buon senso pretenderebbe. Purtroppo, il rischio non è solo quello di avere Forze armate non adeguatamente equipaggiate, ma di perdere come Italia la nostra specifica capacità competitiva in termini di ricerca e sviluppo e quindi industriale. Si può discutere se il campione nazionale debba o meno essere considerato quale “interesse nazionale”, ma non vi è dubbio che la stessa presenza e dimensione dell’Italia nella industria manifatturiera passa dalla capacità di presidiare le aree a maggiore impatto tecnologico e quindi aeronautica, spazio ed elettronica, che sono segmenti ad altissimo valore aggiunto. È vero che lo sforzo cui dovremmo tendere è di muovere verso l’Europa, ma non possiamo neppure ignorare il fatto che oggi la Ue è il ring nel quale i singoli Stati si confrontano anche duramente in una logica che resta nazionale più che comunitaria. Non possiamo pensare che Bruxelles ci tirerà fuori dalle nostre contraddizioni, anzi. L’Italia deve fare i conti con se stessa e con la necessità di far maturare il consenso su quella che anche nel Libro bianco si definisce la “cultura della sicurezza”. È qui che si gioca la partita del futuro, ben al di là della singola legge annuale di stabilità.