L’improvviso slancio bellicoso del governo, ancorché rapidamente ritrattosi, ha avuto il merito di accendere un faro sulla possibilità concreta che il nostro Paese possa essere impegnato in un teatro di guerra alle porte di casa. La Libia rappresenta un nostro interesse nazionale e su questo l’intera comunità politica italiana è unita. Come perseguirlo nella situazione di caos in cui versa lo Stato nordafricano è più complicato da capire, e nessuna opzione può essere esclusa. Tuttavia, l’inspiegabile fuga in avanti di Renzi e dei suoi ministri ha avuto l’effetto di compromettere la posizione di difficile equilibrio costruita con fatica nei mesi scorsi. La partecipazione stessa dell’Italia alla coalizione internazionale anti-Is è avvenuta attraverso l’impiego di aerei non armati e finalizzati all’attività di ricognizione, peraltro svolta con risultati di eccellenza. In Libia avevamo mantenuto un ruolo di dialogo con tutte le fazioni coinvolte, riuscendo così a garantire l’apertura dell’ambasciata a Tripoli (unico Paese occidentale). Ora, tutto questo è stato terribilmente compromesso. Mente i media anglosassoni non hanno preso in considerazione l’effimera dichiarazione di guerra dell’Italia, quelli arabi l’hanno notata, eccome! È bastato poco per essere descritti come nazione neocolonialista e nemica delle popolazioni di religione islamica. Solo l’Egitto aveva gioito, all’inizio, salvo cambiare opinione dopo aver visto la retromarcia. Insomma, da Paese irrilevante ma amico siamo passati a Paese irrilevante ma ostile. Questo significa che il livello di allarme è stato elevato e non sulla base di indicazioni generiche, bensì per le minacce chiaramente percepite dall’intelligence. La sicurezza e la difesa sono quindi diventate un tema immanente e non più solo “esoterico”, affidato cioè all’attenzione degli addetti ai lavori o alla propaganda di alcuni politici. Nel male, si tratta di cogliere l’opportunità per stimolare la diffusione di quella cultura della difesa di cui da tempo discutiamo. Le esigenze di prevenzione e di risposta alle minacce (di guerra, di attacchi terroristici e cibernetici) richiedono una preparazione con mezzi adeguati. L’idea di mettere sulle strade di Roma e Milano 5mila militari può infondere una sensazione di controllo, ma non bisogna essere esperti strateghi per capire come si tratta solo di un palliativo. Bisogna investire e mettere a fattor comune tutte le opportunità che ci possono essere. Quando il presidente egiziano ha contattato Renzi e Hollande per chiedere il sostegno nell’azione militare in Libia, il francese ha avuto gioco facile ad insistere per chiudere il deal sulla fornitura degli aerei Rafale. Noi invece? Nel trattare con gli alleati e, per esempio con i Paesi del Golfo, dovremmo ricordarci che politica estera e politica industriale sono due facce della stessa e identica medaglia. Abbiamo fatto male, molto male, sulla Libia. Approfittiamone per cambiare verso. Davvero.