ottobre 2014

Di Flavia Giacobbe

Airpress nel suo nuovo formato mensile compie un anno. Sono stati 365 giorni vissuti intensamente con un cambio di governo e la rincorsa verso le emergenze che man mano si sono presentate. La questione – squisitamente politica – degli F-35, il vertice Nato e il dibattito sul ruolo e sull’identità della difesa europea, ma anche il piano aeroporti varato dal ministro Lupi e la non facile trattativa fra Alitalia (e dentro la compagine della compagnia) ed Etihad. In questo lasso di tempo si è determinato anche un altro fatto significativo nella governance del comparto: i cambi di guardia nel principale player industriale nazionale, Finmeccanica, e nell’Agenzia spaziale italiana. Il settore aerospaziale non è mai stato così al centro dell’agenda politica. Si tratta di una circostanza positiva. A condizione però che si sfrutti questa opportunità di attenzione per uscire dalla logica della eccezionalità della cronaca, adottando la regola per cui questi argomenti debbano avere una declinazione strategica. In questo senso, riteniamo che questa rivista – insieme ad altre e a diverse iniziative culturali che per fortuna (r)esistono in Italia – possa giocare da pivot utile nel
rapporto fra la politica e le dimensioni internazionali e industriali. L’obiettivo è uscire dalla gabbia del contingente e alzare lo sguardo. Questo significa identificare il nostro interesse nazionale riuscendo a collocarlo nel più ampio interesse euro-atlantico. Traducendo ancora: il nostro Paese deve guardare al suo futuro senza spirito di rassegnazione e senza indossare le lenti del 900. Lo spazio e il cyber-spazio (l’elettronica, si sarebbe detto un tempo non troppo lontano) rappresentano le aree di maggiore crescita nel futuro. Il sistema-Italia non è del tutto impreparato e può contare su importanti eccellenze. Manca la capacità di mettere in connessione le risorse che abbiamo e valorizzarle, sia politicamente sia economicamente. Non è un compito che può essere lasciato solo al governo o al Parlamento né si può pensare che le aziende trovino in una condizione solitaria la via giusta per gli investimenti e l’individuazione dei mercati di sbocco. Serve una architettura più “larga” che consenta a ciascuno di fare la propria parte, non come solisti, ma come orchestra. È qui che dobbiamo, e vogliamo, lavorare. Per informare, certamente, ma anche per esercitare un ruolo di stimolo alla discussione e alla individuazione di quelle policies e di quelle decisioni che possano permettere all’Italia, e all’Europa, di volare un po’ più in alto.

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