Aprile 2017

Di Flavia Giacobbe

Il quadro internazionale attraversa una stagione di incertezza e criticità sotto gli occhi di tutti. La politica muscolare di Donald Trump sulla Siria, la reazione russa alle azioni intraprese dagli Stati Uniti, le provocazioni atomiche della Corea del Nord, stanno scompaginando e ricomponendo le strategie dei Paesi coinvolti in maniera diretta e indiretta. Anche se gli scenari sono ancora in rapida (e imprevedibile) evoluzione, due fattori inediti sembrano caratterizzare il corso della crisi: il ruolo più defilato delle Nazioni Unite nella soluzione degli scenari da una parte e il peso del presidente cinese Xi Jinping nella soluzione diplomatica delle tensioni tra l’amministrazione Trump e il dittatore Kim Jong-un dall’altra. Gli Stati Uniti hanno abbandonato definitivamente la strategia obamiana della pazienza nei confronti di Pyongyang e ora le soluzioni alle tensioni e alle provocazioni del regime nordcoreano non escludono (come ripetono le parti interessate) azioni militari. Di fronte a questo pericolo, l’influenza di Pechino rappresenta un elemento-chiave per la stabilizzazione del Pacifico e si tratta di un esercizio diplomatico (richiesto dagli Stati Uniti) inedito per il Dragone, che di fronte alle crisi mondiali si è sempre defilato. Intanto nel Mediterraneo, al confine con la Siria, la vittoria (seppur sospetta secondo l’Osce) del fronte del sì al referendum turco, apre le porte a un potere quasi illimitato per Erdogan. Il superpresidenzialismo porta con sé i germi per una svolta autoritaria del regime e aumenta gli interrogativi che l’Europa si pone da tempo sul Paese. Il nuovo corso di Ankara, certo, non aiuterà la stabilizzazione del Mediterraneo, la posizione della Turchia nella Nato e il dialogo di Erdogan con l’Unione europea.

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