La pandemia come una guerra. La tragica metafora è sulla bocca di tutti. Ma, se fosse il contrario? Se la guerra fosse la pandemia? Nessuno vuole cedere alla tentazione delle teorie complottiste che vorrebbero il Coronavirus come il risultato – voluto o meno – di una sperimentazione della Cina. Che a Wuhan esista un laboratorio che lavora su virus e batteri e non necessariamente per finalità umanitarie, è fuor di dubbio. Da qui a immaginare una cospirazione o un attentato ce ne passa.
Fatta questa doverosa premessa, dobbiamo però considerare con estrema lucidità ciò che è in corso: si tratta della prima guerra mondiale ibrida. È in campo un’arma virale che ha colpito pesantemente le economie e le infrastrutture dei Paesi, ha costretto al ricorso di tutte le forze armate (Nato inclusa) e vede nel frattempo anche lo svolgimento di operazioni di propaganda e guerriglia informatica. Pandemia e infodemia sono due parallele convergenti dello stesso conflitto. Lo stress per il trauma dei morti e della stessa privazione delle libertà per centinaia di milioni di persone rappresenta un fatto assolutamente nuovo per una generazione la cui unica sfida sembrava essere limitata a come coniugare sviluppo tecnologico e crescita economica diffusa.
Siamo in presenza di qualcosa di più di un game-changing. I domini della terra, dell’acqua, dell’aria, dello spazio e dell’infosfera sono oggi minacciati da uno scenario previsto solo teoricamente. I danni di questa guerra saranno dirompenti per tutti e soprattutto per l’occidente. Oggi è impossibile prevedere quali saranno i tempi e le modalità di recovery. Sappiamo però che il paradigma che ha sorretto la nostra società in questi primi venti anni del nuovo secolo sarà ribaltato. E l’impatto riguarderà anche l’aerospazio e la difesa. Dovremo lavorare su due tempi, quello della protezione dei perimetri nazionali e quello della trasformazione nel futuro più prossimo. Il tessuto industriale italiano è forte ed è stato forgiato nel tempo, anche grazie alle crisi del passato. Ora però serve un indicibile sforzo in più.
Sapendo che nessuno può farcela da solo, neppure un comparto produttivo così rilevante. Il cambiamento è ineluttabile ma si può scegliere se subirlo o governarlo. Anche se mentre scriviamo siamo nel pieno della battaglia contro il virus, stiamo accingendoci proprio ora scrivere le condizioni del Dopoguerra. La politica ha il compito di decidere se sedersi al tavolo dei vincitori o degli sconfitti. La volta scorsa la passione per i regimi non ci ha portato fortuna. Perché ripetere l’errore? Se perderemo anche a causa di alleanze sbagliate e improvvisate, non è detto che questa volta i vincitori ci beneficeranno di un nuovo Piano Marshall. Il Coronavirus non è un’esercitazione. È una guerra ibrida, reale.