Carlo Calenda potrà essere il ministro dell’industria della difesa? Per la prima volta al dicastero di via Veneto arriva una figura che contempera sensibilità politica e capacità tecnica. Non solo. L’ex vice ministro per il commercio estero e per una breve parentesi ambasciatore a Bruxelles è fra i pochi ad avere una chiara consapevolezza circa il ruolo cruciale del comparto dell’aerospazio e difesa per la crescita dell’economia nazionale. Poiché i maggiori investimenti nel settore sono effetto della celebre legge 808 che è incardinata nel Mise, vi è la legittima speranza che il neo ministro saprà rivitalizzare questo strumento. Questo non vuol dire necessariamente maggiori risorse (che sarebbero benvenute, se non necessarie), ma anche e forse soprattutto regole migliori per spenderle, avendo come obiettivo il maggiore ritorno possibile per i contribuenti, sia in termini economici e occupazionali sia in termini di promozione dell’interesse nazionale. Questa partita ovviamente non è disgiunta da due capisaldi che viaggiano paralleli: parliamo dello spazio e della sicurezza cibernetica. Nel primo caso, il governo può vantare un provvedimento dalla valenza particolarmente strategica: il Framework nazionale che mette insieme le amministrazioni centrali (governo) e locali (regioni) per valorizzare e massimizzare le diverse forme di finanziamento, in particolare quelle europee. Si tratta della possibilità di raddoppiare il budget dello spazio, di rafforzare le Piccole e medie imprese più competitive e di fare dell’Asi il vero architetto di sistema. Insomma, un bel colpo per l’Italia. Non altrettanto (ancora) si può dire per la cyber-security, il settore nel quale maggiormente si avverte il ritardo del Paese, fra i più vulnerabili in occidente. Per proteggere la rete pubblica e le infrastrutture critiche, nonché i principali asset economici e strategici, servono investimenti considerevoli sia nell’hardware sia nel software. Tutte le polemiche circa il ruolo di Carrai quale “cyber zar” di Renzi hanno sin qui indebolito la già fragile costruzione istituzionale. Mentre scriviamo attendiamo un provvedimento del governo, verosimilmente un Dpcm, che faccia chiarezza e riscriva il quadro delle competenze. Ci sono da spendere 135 milioni di euro (15 sono già stati indirizzati al Viminale): un budget superiore agli stanziamenti passati (pari a poco più di zero…), ma di gran lunga inferiore ai bisogni. Piuttosto che invocare scenari oggi non plausibili per ragioni di finanza pubblica, meglio essere rigorosi nel chiedere che si realizzi quello che è possibile, e doveroso. Su questo, Renzi si gioca una parte non banale della sua credibilità. E il ministero della Difesa? Una parola sulle polemiche che hanno investito il ministro Pinotti a proposito del presunto “affaire Rolex”: gli attacchi subìti sono evidentemente infondati e inqualificabili. Proprio per questo, c’è da essere preoccupati per il clima di tensione e veleni che da troppi mesi avvolge il dicastero. Capi di stato maggiore in guerra fra loro e un vorticoso avvicendamento di militari nelle posizioni-chiave non ha aiutato. Il ministro, in questo senso, appare più la vittima che il carnefice. Come per la cyber, tutte le strade portano a Palazzo Chigi. Emerge con forza il ruolo del presidente del Consiglio, il quale ha tutto l’interesse a esplicitare maggiormente la sua fiducia verso la sua squadra. Se non si difende la Difesa…