marzo 2014

Di Flavia Giacobbe

Il mondo intero è in subbuglio e noi, in Italia, non facciamo difetto. I focolai delle
mille crisi regionali tendono ad allargarsi invece che a ridursi. La globalizzazione
economica ha finito per aumentare le diseguaglianze. I cambiamenti climatici
alimentano a loro volta i flussi di immigrazione. E tutto quello che si muove sul
web va a costituire una gigantesca nuvola virtuale dalla quale però può discendere
una pioggia di conflitti assai reali (da Wikileaks sino alla censura turca di Twitter).
Insomma, le minacce alla sicurezza e alla democrazia (dove questa esiste) hanno
subìto una crescita più che proporzionale in questi anni. La paura non può guidare
le scelte dei governi; non possono le tenebre di una nuova paventata apocalisse
avvolgere i progressi che l’umanità ha compiuto negli ultimi decenni. Eppure, allo
stesso modo, quei progressi hanno necessità di essere protetti e irrobustiti.
La difesa non è il diritto alla guerra ma è il dovere della pace. Se nella grande decadenza
italiana decidiamo di affondare la nostra flaccida politica in quella retorica irenica
a tutti i costi, correremo il rischio di andare nella direzione opposta a quella della
storia. Il fatto che, a partire dalla recente crisi ucraina, si sia tornato a parlare di
Guerra fredda quando non di nuova guerra mondiale, la dice lunga sugli scenari
che abbiamo davanti a noi. L’opzione diplomatica è l’unica davvero in grado di
evitare i conflitti ma perché quest’arma di persuasione sia efficace occorre che
sia “carica”. L’istituto Sipri ha diffuso i nuovi dati sulla corsa agli armamenti e il
segretario generale della Nato ci sollecita a ragionare sull’importanza che l’Alleanza
abbia tutte le capacità di difesa che possono essere necessarie. Sono fotografie che
possono non piacerci ma che non possiamo ignorare. Il nostro Paese sta tornando
a discutere della sua difesa. Lo sta facendo in modo scomposto, populista e
largamente impreciso. Proprio per questo quella del Libro bianco è un’occasione da
non perdere. Prima ancora di entrare nel merito degli strumenti militari, qui si tratta
di diffondere una cultura ancora troppo poco presente nel nostro tessuto sociale. La
cultura dell’interesse nazionale.