Sessant’anni dopo i Trattati di Roma, l’Europa si interroga sul suo destino. Sebbene le imminenti scadenze elettorali sembrino minare la stabilità dell’Unione, emerge con chiarezza e determinazione il punto cruciale della difesa. Dopo la moneta, si tratta di realizzare un upgrade politico che non può che passare da una idea comune di sicurezza internazionale. La scommessa sull’Europa della difesa è certamente ardita, ma allo stesso modo appare necessaria e non rinviabile. A condizione però che sia fatta chiarezza. Anzitutto va detto che questa iniziativa non può avere il presupposto del risparmio. Se è vero che è possibile e doveroso realizzare efficienze di sistema, è altrettanto innegabile che vadano molto aumentati gli investimenti. Il 2% del Pil continua ad essere un obiettivo da raggiungere e lo sforzo comunitario deve favorire il raggiungimento di questo risultato e non essere, invece, l’alibi per la diserzione. Secondo aspetto fondamentale è infatti la consapevolezza che la costruzione difensiva europea non può che essere coerente e armonica con l’Alleanza atlantica. Chiunque volesse immaginare un disegno alternativo alla Nato finirebbe per tratteggiare un papocchio che renderebbe più deboli entrambe le sponde dell’oceano. Ovviamente, una così ambiziosa idea di nuova architettura istituzionale non può ignorare gli aspetti industriali. Che ne sarà dei campioni nazionali e quale il ruolo di Airbus? Come coniugare il buy american con un eventuale buy european? La questione non è affatto marginale, anzi. Ed è ineluttabile che i governi, e in particolare quello italiano, prestino una grande attenzione agli equilibri di potenza che si riflettono nelle scelte dei grandi programmi industriali. Con la consapevolezza che non c’è costruzione politica ed economica che non poggi sul consenso. Le opinioni pubbliche – soprattutto in Paesi come il nostro – pur avendo grande fiducia nelle divise militari, non sempre sono consapevoli delle minacce (terrorismo ma non solo) e soprattutto delle misure che è necessario adottare anche in termini di investimenti pubblici. La scelta di guardare alla difesa europea non deve essere una scorciatoia per annegare le responsabilità dei singoli governi nel calderone più grande. Al contrario, questa sfida sarà sostenibile esclusivamente nella misura in cui gli Stati e la Ue aumenteranno la loro ambizione e il loro impegno, sia guardando alle risorse finanziarie sia a quelle politiche, cioè di comunicazione. Sullo sfondo, dagli Stati Uniti di Trump alla Russia, senza dimenticare Cina, India e Paesi del Golfo, la corsa agli armamenti e all’egemonia non si arresta. Anzi.