Settembre 2017

Di Flavia Giacobbe

Il conto alla rovescia è già iniziato. La campagna elettorale per le elezioni regionali in Sicilia segna inevitabilmente il fischio di inizio delle politiche che si terranno nei primi mesi del 2018. Nel mezzo, la legge di bilancio (e ben pochi altri provvedimenti). È questo il contesto nel quale va a collocarsi il dibattito sulla difesa italiana, ed europea. Il ministero guidato da Roberta Pinotti ha presentato il suo documento programmatico per il biennio 2017-2019. Va dato atto che – a livello di investimenti invariati, e cioè bassissimi – le nostre forze armate si rivelano capaci in quell’arte che volgarmente potremmo definire delle “nozze con i fichi secchi”. È vero che si è arrestata, almeno per il momento, la folle corsa ai tagli al budget, ma è anche incontrovertibile, dati alla mano, che siamo lontanissimi dalle necessità. Possiamo, e dobbiamo, essere orgogliosi della analisi pubblicata da Politico.eu, circa il nostro essere maestri in Europa a proposito degli impegni Nato, ma di certo non possiamo cullarci sugli allori che in realtà non ci sono. La nostra presenza internazionale e le nostre capacità sono un raro esempio di flessibilità e abnegazione. Ma fino a quando si potrà andare avanti così? Probabilmente, i programmi più strategici sono (abbastanza) sicuri, ma cosa ne è della ricerca e della tecnologia? Fin dove potremo sostenere l’industria nazionale? La possibilità di soccombere sotto il peso dell’innovazione altrui va messa in conto e su questo bisognerebbe confrontarsi. Così come sulle prospettive delle alleanze internazionali in un comparto, quello della difesa, dove la dimensione conta sempre di più. Nello spazio – lo abbiamo detto spesso ma non è mai abbastanza – un modello virtuoso di collaborazione fra istituzioni e fra pubblico e privato si è affermato e sta dando riscontri particolarmente positivi. E per la difesa? Voler tenere il tema confinato nel solo ministero o negli stati maggiori significa firmare una condanna senza appello. La sicurezza deve essere una questione centrale nel dibattito pubblico e occorre che l’opinione pubblica ne sia adeguatamente informata. Non si tratta solo di reagire alla cronaca quotidiana (immigrazione, terrorismo, solo per citare due titoli). Occorre alzare l’asticella e provare a far comprendere come le nostre donne e i nostri uomini in divisa, ragione di così grande orgoglio, sono parte di una dimensione strategica più ampia. La questione non sembra interessare i partiti e la campagna elettorale comincia a dipanarsi, da questo punto di vista, nel modo peggiore. Non è mai troppo tardi per onorare la bandiera del proprio Paese e con essa quella europea e dell’Alleanza atlantica.