Settembre 2018

Di Flavia Giacobbe

La crescita del Paese passa dagli investimenti pubblici e privati. Se questo è, giustamente, il mantra del nuovo governo, non si può non sottolineare come cruciale sia proprio il comparto economico dell’aerospazio e difesa. Si tratta di una sollecitazione che la nostra rivista ha voluto porre con evidenza al centro di un dibattito pubblico che trova proprio qui, nelle pagine che seguono, il naturale approfondimento. Tutti i numeri, tutte le ricerche, sono unanimi. L’effetto moltiplicatore degli investimenti in difesa c’è ed è sostanziale. Secondo l’ultimo report realizzato da Ambrosetti in collaborazione con Leonardo, il settore vale solo per l’Italia oltre 13 miliardi, con ricadute positive per il sistema-Paese e per la proiezione dell’Italia all’estero.

Difendere e sostenere il comparto da parte del governo significa difendere l’innovazione e la ricerca duale, visto che i dati confermano come il principale player italiano si trovi al quarto posto in una classifica mondiale per la spesa in R&S, preceduto solo da colossi come Boeing, Airbus e BAE Systems. Gli investimenti costituiscono il seme per restare competitivi nella competizione globale e quanto più essi sono a medio-lungo termine, tanto più garantiscono continuità e stabilità al settore. La politica è chiamata a esercitare il suo potere decisionale e di indirizzo, guidando le scelte industriali e sostenendole anche attraverso delle correzioni al sistema, come una legge sessennale per il finanziamento dei principali programmi di Ad&s, oppure creando una specifica e forte Cabina di regia in capo a Palazzo Chigi sulla scorta di quanto già previsto con il settore spaziale. I vuoti decisionali si pagano, soprattutto se si compara l’attivismo politico di Paesi a noi vicini e concorrenti sul mercato.

In Italia, il settore impiega comunque un’occupazione diretta di 45mila addetti, mentre quella indiretta e dell’indotto conta circa 160mila addetti. Sul versante esportazioni, il nostro Paese è al quinto posto nella classifica mondiale nel decennio 2007-2016, con 23 miliardi di export cumulato (avendo davanti solo Usa, Regno Unito, Russia e Francia). Un dato incoraggiante, che potrebbe essere aiutato dal punto di vista normativo, con l’introduzione anche in Italia del meccanismo governo-governo (G2G), in grado di facilitare le esportazioni e che metterebbe il nostro sistema alla pari dei concorrenti (che già lo hanno adottato da tempo). Anche l’Europa, al di là dei singoli Stati, sta puntando a un rafforzamento della sicurezza e della difesa del Vecchio continente, proponendo per il 2021-2027 un raddoppio del budget dedicato al Fondo di sicurezza interna, passando da 1,2 miliardi a 2,5. In questo scenario, il nostro Paese non deve tentennare sulla sua adesione al progetto della Difesa comune, ma anzi insistere per portare a casa i migliori risultati.

Oltre a rafforzare la sua industria interna, il sistema-Paese è chiamato anche a consolidare le partnership internazionali, in primis con l’alleato transatlantico, considerando che nel tessuto italiano sono presenti colossi Usa che fanno parte ormai a pieno titolo del sistema della difesa della penisola (si vedano i casi emblematici di Lockheed Martin, Boeing e GE). Con le ristrettezze dei fondi pubblici disponibili fra ministero della Difesa, ministero dello Sviluppo economico, Regioni e Unione europea, è evidente che – al netto delle sempre possibili ulteriori ottimizzazioni – occorra ragionare per favorire investimenti attraendo risorse dal mercato. La missione è difficile ma non impossibile.

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