A380, la fine di un modello di business. L’analisi di Pierluigi Di Palma

Di michele

Pubblichiamo l’analisi dell’avvocato Pierluigi Di Palma, presidente del centro studi Demetra, sulla fine anticipata del programma superjumbo di Airbus

Con la cancellazione di importanti ordinativi da parte di Qantas ed Emirates va a concludersi, con un totale di 251 consegne rispetto alle 321 previste ed alle 700 unità programmate al momento del lancio dell’iniziativa, la produzione dell’A380, l’aereo commerciale più grande al mondo dal costo di listino di 445,6 milioni di dollari.

Il “superjumbo”, la cui produzione fu annunciata con grande enfasi politico-industriale e tecnologica nel dicembre del 2000 e presentato ufficialmente a Tolosa, sede dell’Airbus, nel 2005, è un aereo di due piani che può ospitare, a seconda della configurazione, tra 500 e 850 passeggeri, con un range operativo che supera i 15.000 km, ma con costi di esercizio sopportabili dalle compagnie aeree impegnate sul lungo raggio solo con load factor prossimi alla piena capacità. Con i suoi 80 m di apertura alare e quasi 400 tonnellate di peso senza equipaggio, l’A380 ha dato vita ad un modello di business tendente ad imporre una visione della politica del trasporto aereo incentrata sui collegamenti tra i grandi Hub che, peraltro, presupponeva ingenti investimenti, da parte delle compagnie aree, per l’acquisto delle macchine e degli aeroporti internazionali che avrebbero dovuto attrezzarsi, allungando le piste, ingrandendo gli hangar e predisponendo finger dedicati ad uso esclusivo.

In ragione delle difficoltà di voler imporre una politica dirigista, non coerente con le esigenze del mercato liberalizzato, non è un caso che l’A380, oltre che nelle compagnie dei Paesi costruttori (Air France, Lufthansa, British Airways), sia entrato, per lo più, nelle flotte di vettori di compagnie di Paesi legati tuttora ad una concezione superata del trasporto aereo (Asia e Medio Oriente) e l’operatività sia limitata ai pochissimi aeroporti nel mondo in grado di adeguarsi, in tempi brevi, alle sue dimensioni, con la costruzione di nuove piste ed interventi infrastrutturali sui terminali.  Il problema è che l’A380 permette di trasportare un numero importante di passeggeri ma in un mercato, per lo più, liberalizzato del trasporto aereo in cui il passeggero ha diverse opzioni per volare, risulta per le compagnie difficile da operare con un load factor economicamente utile, tenuto conto che la reddittività della macchina è strettamente correlata ad una piena capacità di riempimento, ciò in ragione dell’elevato costo del carburante comunque necessario per volare.

La decisione di chiudere la produzione dell’A380, dopo poco più di un decennio di servizio, rappresenta, dunque, non solo l’atto conclusivo di una delle più grandi avventure industriali d’Europa – evidentemente poco apprezzata dal mercato che non ha creduto che la soluzione all’incremento esponenziale del traffico aereo possa ritrovarsi nel rimedio alla congestione dei grandi aeroporti favorendo, anche per garantirne una crescita del numero di passeggeri, una riduzione dei voli con macchine di maggiore capacità – ma anche e soprattutto il superamento di una politica del trasporto aereo legata alla concentrazione dei voli nei grandi Hub, senza dubbio, tendenti a favorire gli interessi economici delle compagnie aeree ma poco incline a riconoscere le esigenze dei passeggeri che, in un mercato liberalizzato preferiscono la qualità del servizio e, quindi, i collegamenti point to point.

Il sogno infranto di Airbus era quello di intercettare il nuovo traffico legato al boom di passeggeri delle classi medie asiatiche, che andavano ad affiancarsi ai turisti e ai viaggiatori d’affari dei Paesi occidentali, con un’offerta “rivoluzionaria” che, al contrario si è rivelata contro tendenza rispetto alle preferite modalità di volare del mondo globalizzato incentrate sulla soddisfazione delle esigenze dell’utenza. In altri termini, gli A380 avrebbero consentito l’imbarco di un numero maggiore di passeggeri, con una riduzione del numero di voli e un notevole risparmio sul carburante, collegando i grandi scali internazionali, dai quali aerei più piccoli avrebbero, poi, condotto i passeggeri verso le mete prescelte, vicine ad aeroporti più decentrati, secondo il modello dell’ ”hub and spoke”.
Il modello A380 é stato progettato in un periodo di grande trasformazione del trasporto aereo in cui era in incremento esponenziale il quantitativo di passeggeri – da trasporto d’élite a trasporto di massa – e risultava, altresì, necessario non aumentare il numero di voli, per evitare la congestione dei grandi scali.

Tale velivolo il cui utilizzo economicamente sostenibile ha determinato una concentrazione dell’offerta di volare nei grandi scali, oggi, non risponde più alle esigenze che sono prevalse nel trasporto aereo, tenuto conto che, grazie all’innovazione tecnologica, è possibile ampliare la capacità degli scali con decolli e atterraggi più frequenti e che l’esigenza di concentrare l’offerta di volare risulta per le compagnie aeree meno appetibile, per via della maggiore importanza data dai passeggeri ai collegamenti diretti degli aeroporti regionali rispetto ai grandi hub. Sicché, la crescita del traffico aereo degli ultimi anni ha generato, da parte dei vettori interessati per sviluppare il proprio business e dare risposta alle esigenze dei passeggeri, una domanda di jet bimotore abbastanza agili in grado di volare direttamente negli scali minori, piuttosto che di ingombranti jet quadrimotore che costringono i passeggeri a cambiare velivolo, a volte con grande disagio, negli aeroporti hub.

In tale contesto, va riconosciuto che Boeing, in particolare, con il 787 Dreamliner, più piccolo e più brillante dell’A380, ha vinto la battaglia dei cieli, con la realizzazione di un velivolo in grado di bypassare gli Hub, permettendo ai vettori di riconciliarsi con i bisogni del mercato liberalizzato del trasporto aereo, garantendo servizi di collegamento diretti tra città, secondo la strategia nota come «point to point», di certo, oggi, preferita dai passeggeri. La stessa Airbus si è adeguata al modello vincente di business aereo con la produzione dell’A350-900, un bimotore che garantisce, a costi contenuti, le stesse distanze sul lungo raggio, potendo ospitare, in configurazione standard poco meno della metà dei passeggeri dell’A380, così rispondendo meglio alle strategie commerciali dei vettori aerei che optano per tale tipologia di velivoli per l’ammodernamento della flotta.

In altre parole, la previsione di Airbus che ha generato la realizzazione dell’A380, è stata smentita dai fatti. Le segnalate criticità, unitamente alla crescente insofferenza da parte dei passeggeri per i disagi dei voli via Hub e all’affermarsi delle compagnie aeree low cost che, nel medio raggio, sono in grado di volare evitando il doppio imbarco imposto dall’Hub, hanno contribuito a convincere le compagnie aeree a concentrarsi sugli aerei a fusoliera larga, ma di dimensioni, capacità e costi di esercizio inferiori. A ciò deve aggiungersi che il modello «point to point» prevale sul cd. «hub and spoke» operato dall’A380 anche e soprattutto in termini di soddisfazione del passeggero che, ovviamente, preferisce la soluzione che consente di raggiungere direttamente lo scalo di destinazione finale, senza passare dall’Hub.

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