Accordo per il decimo lotto di produzione di F-35

Di Stefano Pioppi

C’è l’accordo tra Lockheed Martin e il Pentagono per il decimo lotto (LRIP 10) di F-35: 90 velivoli, di cui 55 per gli Stati Uniti e 35 per i partner internazionali. Sono forse servite le cinguettate di critica al programma da parte di Donald Trump e gli incontri con la ceo Maryllin Hewson poiché, nel complesso, il lotto prevede una riduzione di 728 milioni di dollari rispetto al lotto precedente mentre, per la prima volta, il costo unitario dell’F-35A scende al di sotto dei 100 milioni. Nello specifico, gli F-35A (Ctol, a decollo e atterraggio verticale) costano 94,6 milioni di dollari l’uno, gli F-35B (Stovl, a decollo corto e atterraggio verticale) 122,8 milioni, e gli F-35C (Catobar, a decollo assistito da catapulta ma recupero arrestato) 12,8 milioni. Si tratta di una riduzione del 60% del prezzo della versione A rispetto al lotto 1 e di circa il 7% rispetto al lotto 9. Dei 55 F-35 Lighting II per gli Stati Uniti, 44 sono in versione A e diretti all’US Air Force; 9 sono in versione B e diretti al Corpo dei Marine; e 2, in versione C, per la Marina. Dei 35 esteri, 3 sono per il Regno Unito, (versione B), 6 per la Norvegia, 8 per l’Australia, 2 per la Turchia, 4 per il Giappone, 6 per Israele, e 6 per la Corea del Sud. Le consegne del lotto inizieranno nella prima parte del 2018.

“Il contratto per LRIP 10 è buono ed equo per i contribuenti, il governo degli Stati Uniti, gli alleati e l’industria”, ha detto Chris Bogdan, program executive officer dell’F.35. “Continueremo a lavorare con l’industria per portare ancora più giù i costi del programma”, ha aggiunto. Secondo Jeff Babione, vice presidente e general manager del programma di Lockheed Martin, “con iniziative come il Blueprint for Affordability e con la curva di apprendimento naturale, stiamo portando i costi di ogni velivolo ad abbassarsi in maniera sostanziale e, allo stesso tempo, il programma F-35 continuerà ad aggiungere migliaia di posti di lavoro in più all’economia Usa aumentando la produzione anno su anno”. Secondo le stime di Lockheed Martin, il programma del caccia stealth, di quinta generazione, supporta nell’attuale produzione a basso rateo oltre 1.300 fornitori in 45 Stati e impiega, direttamente e indirettamente, 146mila persone. Nel corso del decennio 2020-2030, quando la produzione sarà a pieno rateo, si attende un ritorno occupazionale intorno ai 260mila posti di lavoro.

L’Italia partecipa al programma multinazionale F-35 Lightning II-Jsf dal 1998, con l’adesione alla fase di Concept demonstration in qualità di partner informato. Nel 2002, l’Italia è entrata nella fase di System desing and development come partner di secondo livello in un gruppo di otto Paesi oltre agli Stati Uniti (Olanda, Australia, Canada, Danimarca, Norvegia e Turchia). Nel 2009, con la decisione relativa all’acquisizione dei velivoli, è stata approvata la realizzazione della linea nazionale di assemblaggio e verifica finale (Faco) che tutt’ora rappresenta la maggior parte della partecipazione industriale italiana al programma. Il sito di Cameri si occupa dell’assemblaggio finale dei velivoli italiani (e in parte olandesi) e della produzione dell’assieme alare, attività gestite dalla divisione velivoli di Leonardo-Finmeccanica, ex Alenia Aermacchi. Secondo l’attuale accordo industriale con Lockheed Martin, a Cameri verranno prodotte 835 unità alari (66 all’anno a pieno regime), assicurando un considerevole rateo produttivo. A Cameri è stato prodotto anche AL-1, il caccia dell’Aeronautica militare, primo F-35 a volare al di fuori degli Stati Uniti a settembre 2015, consegnato alla Forza armata a dicembre, e primo Jsf a completare un volo transatlantico lo scorso febbraio. L’enorme base dell’Aeronautica militare sarà anche il centro di manutenzione, riparazione e aggiornamento (Mro&U) per gli F-35 basati nell’area euro-mediterranea. Proprio sul trasferimento tecnologico e occupazionale dagli Stati Uniti all’Italia restano però alcuni dubbi. La scorsa settimana, il presidente della Federazione delle aziende italiane per l’aerospazio, la difesa e la sicurezza (Aiad) e già sottosegretario alla Difesa nel IV governo Berlusconi, Guido Crosetto, ha commentato ad Airpress: “Per l’F-35 non ci sono stati i trasferimenti tecnologici previsti, mentre latita ancora il trasferimento di lavoro; inoltre, l’attività presso lo stabilimento di Cameri, che doveva garantire l’unico luogo di Mrou&U al di fuori degli Stati Uniti, pare sia messa in discussione”. Eppure, “l’obbligo di trasferimento tecnologico è insito negli accordi, così come la ripartizione del lavoro dall’inizio alla fine, ma pare che non lo stiano facendo e ciò non premia sicuramente le piccole e le grandi aziende italiane”.

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