Il corsivo di Alessandro Cornacchini, colonnello dell’Aeronautica militare e giornalista, pubblicato sull’ultimo numero di Airpress
Ho avuto l’onore, il privilegio e, aggiungerei, anche la fortuna di aver attraversato almeno 55 anni di Aeronautica militare e, in questo lungo periodo, di aver potuto seguire da punti di osservazione diversi, ma sempre favorevoli, quando non unici, la continua trasformazione a cui la Forza armata si è sottoposta per essere costantemente all’altezza di quanto le fosse richiesto, adeguandosi all’evoluzione sociale e culturale del Paese. Sono stati attraversati momenti difficili e complicati, momenti in cui andavano recuperati consapevolezza e consenso, oltre che una indispensabile operatività. Momenti in cui non solo era centrale e determinante, ma vitale, l’azione dei comandanti, a qualunque livello essi esprimessero la loro condotta.
Riflettendo sullo spirito che ha animato il convegno sulla leadership tenuto recentemente a Firenze dall’Aeronautica militare, mi sono venute spontanee alcune considerazioni che rafforzano la convinzione di un’Arma azzurra che cavalca sempre l’innovazione, anche in quegli ambiti che potrebbero sembrare non propriamente il suo core business. Ma andiamo al punto: la leadership, che potrebbe essere assimilata a quella che in passato veniva individuata come “arte del comando”, anche se il parallelismo non è del tutto esatto.
Bene, cari lettori, per quello che ho premesso, la mia mente corre ora “necessariamente” al passato per esplorare se i contenuti importanti che si affollano intorno a questo termine possano trovare radici nella nostra tradizione, oppure rappresentino la sintesi di una “rivoluzione”. Mettendo ordine ai ricordi e privandoli della componente più emotiva, posso affermare di aver conosciuto uomini, aviatori, comandanti (non pochi), che probabilmente avrebbero avuto difficoltà a capire il significato di leadership, come avevano difficoltà, al tempo, a teorizzare l’espressione “arte del comando”, qualora ne avessero avuto voglia, ma erano in grado di esprimere in modo netto e inequivocabile quelle qualità e quelle capacità che sono tuttora l’asse portante di un moderno concetto di azione di comando.
Erano uomini, i comandanti degli anni 50 e 60 dello scorso secolo, che si trovavano di fronte l’impresa ardua di ricostruire un’organizzazione, giustificarne la sua esistenza, non del tutto scontata. Non solo, erano persone che sentivano il compito totalizzante di ridare morale, dignità e rispetto a migliaia di aviatori che avevano combattuto con onore una guerra persa. E questo è stato possibile grazie a una leadership forte, espressa da uomini “selezionati” sul campo di battaglia, una leadership che poggiava su valori e qualità che non s’imparano sui banchi di scuola, ma che la scuola può solo implementare e indirizzare nel modo più efficace.
Vedete, cari lettori, potrei anche farvi dei nomi, ma non è poi così importante. Rilevante è piuttosto che quelli a cui mi riferisco, che appartenevano a tutti i livelli della gerarchia, erano uomini che difficilmente dovevano proferire un ordine secco, anzi non avevano bisogno di dare ordini, perché avevano seguito grazie all’esempio, perché erano stati capaci di costruire gruppi affiatati all’interno dei quali vigeva una tensione morale e la certezza di quello che doveva essere fatto e di quello che non doveva essere fatto, di quello che era bene e di quello che era male, comandanti che usavano il “noi” e raramente “io” anche se erano loro a fare la differenza. Uomini che erano generosi, audaci, intelligenti oltre che professionalmente capaci. Erano anche imprevedibili, non lineari. Uomini che, per usare una locuzione del capo di Stato maggiore, il generale Enzo Vecciarelli, non erano adusi a navigare solo ed esclusivamente al centro del fiume dove le acque sono più sicure e profonde, ma che si avventuravano anche verso gli argini, anche intorno alle secche, dove la navigazione è più incerta. Soprattutto uomini che anteponevano ai loro interessi personali il bene comune, che si assumevano la responsabilità delle decisioni e degli errori. Sì, degli errori. Perché ne facevano, eccome se ne facevano. Eppure, una volta riconosciuti, essi rappresentavano quella discontinuità che permetteva di ripartire con più slancio ed energia.
Ecco, a conclusione di questo discorso “in libertà”, che si può dire? Che ci sono delle caratteristiche, delle qualità, dei valori che non s’imparano, ma che bisogna avere, a prescindere dal grado o ruolo che si riveste, e sono quelle su cui poggia anche la costruzione di una leadership efficace e produttiva per l’organizzazione, tenendo ben presente, a parere personale, che una Forza armata ha bisogno più di comandanti e meno di manager, meno di burocrati e più di uomini coraggiosi. Come afferma spesso il generale Vecciarelli, ciascun componente dell’Aeronautica militare deve farsi una domanda: perché? Perché esistiamo. Se riusciamo a rispondere, con onestà intellettuale, che esistiamo per il bene dell’Italia e dei suoi cittadini, allora possiamo essere sicuri di essere sulla giusta strada.