Intervista esclusiva al generale ispettore capo Francesco Langella, direttore della Direzione degli Armamenti Aeronautici e per l’Aeronavigabilità
La certificazione in campo aeronautico rappresenta il processo attraverso il quale un Ente verifica la rispondenza di un progetto aeronautico a determinati requisiti di aeronavigabilità, che ne assicurano l’impiego in sicurezza. In Italia la Direzione degli Armamenti Aeronautici e per l’Aeronavigabilità (DAAA) è l’Ente del ministero della Difesa che, in base al Codice della Navigazione e altre leggi dello Stato, rappresenta l’Autorità per l’Aeronavigabilità competente per la certificazione, immatricolazione ed ammissione alla navigazione aerea degli aeromobili militari e l’emanazione della relativa normativa tecnica. In tale ambito, l’Aeronautica Militare ha recentemente firmato un accordo con gli Stati Uniti per il mutuo riconoscimento. In particolare, il generale Francesco Langella, a capo della DAAA, in qualità di responsabile nazionale per l’aeronavigabilità di tutti gli aeromobili militari e dei corpi dello Stato, ha firmato con l’omologo statunitense, generale Timothy Gowen, rappresentante delegato delle autorità militari statunitensi per l’aeronavigabilità (US Army, US Navy e US Air Force) il certificato di mutuo riconoscimento tra le rispettive autorità militari. L’accordo nasce dall’esigenza di definire le competenze delle parti nella gestione della aeronavigabilità, in modo che ognuna possa riconoscere come valide le certificazioni emesse dall’altra. Ciò consentirà un più rapido processo di certificazione e, inoltre, di garantire la possibilità che equipaggi di una nazione utilizzino aeromobili militari dell’altra senza necessità di ulteriori accordi o passaggi.
Generale Langella, qual è la portata di questo accordo?
L’accordo firmato con gli Stati Uniti ha una forte valenza, non solo per il mondo aeronautico militare, ma anche per l’industria, la prima a volere un’armonizzazione dei processi di certificazione. In questo campo ciascuna nazione ha propri processi certificativi. Qualsiasi industria che voglia certificare un oggetto, un velivolo militare, o un qualsiasi equipaggiamento destinato al volo, deve pertanto teoricamente effettuare più volte lo stesso processo e questo è estremamente costoso (il processo consiste nel definire da parte dell’Autorità militare con le ditte una matrice di certificazione; stabilire i criteri per ciascun elemento identificato, decidere come verificare che un determinato requisito sia soddisfatto e produrre infine la documentazione necessaria. Per fare questo si procede con metodi diversi: analitico, per test, per similarità o per chiara evidenza, ndr). Qualcosa è stato fatto anche a livello europeo, sotto la spinta dell’EDA (European Defence Agency, ndr), con la messa a punto di un set di norme condivise, per definire i processi di certificazione e condurre al mutuo riconoscimento, ma con gli Stati Uniti siamo andati più veloci.
Perché?
Innanzitutto per una questione pratica. Secondo la legge americana un pilota statunitense non potrebbe salire su un velivolo non certificato dall’Autorità interna, a meno che non vi sia un processo di mutual recognition, che, grazie all’accordo firmato a Washington, adesso abbiamo. Non è stato facile, perché ciascuna Autorità nazionale deputata all’airworthiness necessita di verificare le capacità del soggetto che si vuole riconoscere in termini di normativa applicabile, processi applicati e professionalità del personale dedicato. Tutto questo con gli Usa è avvenuto (reciprocamente, ndr) ed anche in un arco di tempo piuttosto breve. Un processo che normalmente richiede circa un anno si è risolto in 3 mesi di lavoro. Ovviamente questo non significa dover accettare in toto la certificazione di un sistema fatta dall’altro, si valuterà caso per caso, ma si potrà procedere per delta e non più per l’intero sistema.
Si tratta di una prima assoluta?
Per certi versi sì, perché l’Autorità americana rappresenta tutte e tre le Forze armate statunitensi. Prima avevamo in essere un accordo solo con Usaf e Navy riguardo la certificazione del JSF, ma unilaterale, non biunivoco. Ovvero noi siamo pronti ad accettare le raccomandazioni delle loro Autorità competenti riguardo il velivolo, in quanto non abbiamo contezza della documentazione di dettaglio di determinati sistemi, anche se, in futuro, ci dedicheremo a specifici sottosistemi (Deputy dive), unitamente agli altri partner del programma.
Che cosa si sta facendo in Europa in questo momento a seguito dell’impulso dato dall’EDA?
Il Mawa (Military AirWorthiness Authorities, ndr) Forum ha emanato una serie di raccomandazioni denominate EMAR (European Military Airworthiness Requirements), rispetto alle quali ciascuna Autorità nazionale ha il diritto di applicarle in toto o di armonizzarle con le proprie norme. In tema di certificazione in Europa l’approccio cambia da Paese a Paese. Mentre noi siamo per l’applicazione in toto e in DAAA stiamo già emettendo i corrispettivi nazionali delle EMAR, altre nazioni, come il Regno Unito, ritengono di dover fare delle armonizzazioni. Altre ancora, come la Germania, vorrebbero la piena integrazione, ma esistono dei vincoli legislativi interni che stanno cercando di rimuovere. L’Italia è molto aperta a questo approccio “europeista” e contiamo di adottare le EMAR nel loro complesso. Inoltre, in determinati settori, come gli RPAS, abbiamo già fatto qualche passo normativo in più, perché abbiamo iniziato prima.
Uno dei programmi europei più esemplificativi di tutto questo è sicuramente l’Eurofighter, a cui partecipano Italia, Regno Unito, Germania e Spagna. Come procede il processo di mutuo riconoscimento?
Per l’Eurofighter non c’è ancora nulla di consolidato, ma il processo è in corso. In quest’ultimo anno c’è stato un affinamento delle procedure per capire che tipo di processo volessimo applicare. Recentemente abbiamo firmato un documento, con il quale abbiamo definito la road map, quindi nell’immediato futuro, limitatamente al programma Eurofighter, si potrà procedere con il mutuo riconoscimento. In particolare, l’Italia comincerà con il Regno Unito, poi con la Germania e la Spagna. La sequenza potrebbe cambiare, ma questa ad oggi è l’intenzione.
Ha accennato ai velivoli a pilotaggio remoto e ai passi avanti fatti dall’Italia in tema di certificazione, grazie anche all’esperienza acquisita sul campo. Come giudica quanto fatto dall’industria italiana in questo settore e quali opportunità potrebbero aprirsi?
In Europa ci sono delle iniziative dove potremo fornire il nostro apporto, grazie alle competenze che abbiamo sviluppato. Il P1.HH è un esempio, ma ce ne sono anche altri. Credo che il MALE 2025 sia una bella sfida, dove l’Italia ha i numeri per fare la propria parte. Noi faremo quello che ci verrà richiesto dalle superiori Autorità (Segredifesa,ndr), mettendo a disposizione le nostre capacità di gestione di programmi complessi. Già oggi stiamo offrendo il nostro supporto ad alcune iniziative, come il Neuron (il dimostratore tecnologico tipo UCAV con delle capacità stealth, al cui sviluppo partecipano 6 nazioni, tra cui l’Italia, ndr), che in questi giorni ha volato per circa 1 ora in Sardegna e per il quale abbiamo firmato il Safety Case. Il sistema servirà soprattutto a verificare che determinati concetti siano validi e a trarre spunti importanti per il futuro, sia esso il MALE 2025 o qualcosa d’altro.
Sempre riguardo a questo tipo di piattaforme, quali sono le prossime sfide dal punto di vista dell’utilizzo?
L’obiettivo europeo è quello di permettere ai RPAS di volare in spazi aerei non segregati. Questo significa superare alcune difficoltà tecnologiche oggi presenti, anche se non insormontabili. Il MIDCAS, ad esempio (progetto, a cui partecipano 5 Paesi, con l’obiettivo di realizzare un prototipo pre-ingegnerizzato di sistema Sense & Avoid per UAV e di dimostrare in volo, la sicurezza, efficacia e compatibilità con le regole del traffico aereo civile, ndr), altro programma dell’EDA, così come il Neuron, ha volato integrato su uno Sky-Y a Grazzanise e ha dimostrato la capacità di riconoscere eventuali ostacoli. Ovviamente c’è ancora molto lavoro da fare per rendere sicuro il processo. Abbiamo a che fare con macchine che richiedono una grossa verifica delle capacità di comando e controllo, con software e data link estremamente sofisticati, che devono garantire il pieno controllo del sistema da terra, anche in caso di degradamenti.