Alitalia: divise oggi, vendita domani

Di Gregory Alegi

Quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito: si potrebbe riassumere così il clamore suscitato dal rinnovo delle divise del personale annunciato dai commissari Alitalia. Social e stampa internazionale hanno ironizzato sulla decisione, fino a parlare di “bankruptcy Italian style”. In realtà, far coincidere il rinnovamento stilistico con la sostituzione fisica, dettata soprattutto dall’esigenza commerciale di un aspetto impeccabile, è una mossa intelligente che non comporta costi aggiuntivi per le casse del vettore. Se a questo si aggiungono la differenziazione tra divisa invernale ed estiva (abolita sotto la gestione Etihad, con frequenti lagnanze di chi doveva indossarla) e il venire incontro alle richieste del personale (che gradiva lo stile “mediorientale”), ci si deve anzi congratulare per il contributo a rasserenare il clima interno in un momento difficile per Alitalia.

Già, perché il destino della compagnia resta ancora incerto. Dal commissariamento, deciso il 2 maggio 2017, gli aerei hanno continuato a volare (con qualche uscita di flotta e qualche nuovo ingresso, come il Boeing 777-300ER E-WLA, battezzato “Roma”), è stato erogato un prestito ponte (900 milioni), è stata prorogata la cassa integrazione (fino ad aprile 2018), è stata svolta una procedura di selezione per individuare un acquirente. Ma del futuro assetto di Alitalia, ancora niente di concreto. Cartina di tornasole di questo difficile momento è l’andamento della stagione estiva 2017. Complici le tradizionali vacanze, l’estate – che per le compagnie aeree va da fine marzo a fine ottobre – è il periodo di maggior traffico. Gli aerei si riempiono facilmente, consentendo di aumentare i prezzi e incrementare il coefficiente di riempimento, a tutto vantaggio dello yield (provento medio, la vera misura dell’andamento di una compagnia). Per farla breve, è il momento in cui si guadagna abbastanza per compensare il calo invernale. In questo quadro mondiale positivo, il risultato netto di Alitalia dal primo giugno al 31 ottobre è stato in perdita di 20,9 milioni di euro (che salgono a 31,3 calcolando gli interessi sul debito) su ricavi per 1.433 milioni. La perdita, modesta in termini percentuali (-1,6%), si può considerare un pareggio tecnico. Anche perché la compagnia ha generato 306 milioni di cassa, al netto di depositi a garanzia presso Iata (118 milioni) e presso le banche per garantirsi da eventuali aumenti di prezzo del carburante (29 milioni).

Di fronte a questi risultati, c’è chi si è spinto a presentare la gestione commissariale come migliore di quella privata. Una conclusione un po’ ardita, se si considera che non è possibile fare raffronti sui corrispondenti periodi dell’esercizio precedente in quanto Alitalia non ha presentato il bilancio 2016. Anche così, alcuni confronti aiutano a mettere a fuoco la situazione. La stagione estiva 2017 si è innestata su un primo semestre (gennaio-giugno) che è stato il migliore degli ultimi 12 anni, con una crescita del 7,8% sull’anno precedente. Senza far riferimento alle solite low cost, basta guardare il terzo trimestre di Air France-KLM, Lufthansa o American Airlines per trovare risultati netti positivi per 552 e 1.181 milioni di euro e 1.232 milioni di dollari, pari a circa il 10% del fatturato.

Alitalia, insomma, resta ben lontana dalle altre compagnie e non ha saputo approfittare della situazione eccezionalmente positiva per mettere fieno in cascina. Altrettanto sembrano pensare i potenziali acquirenti. Sfilatasi come previsto Ryanair (che ha comunque lucrato pubblicità e accesso ai dati della concorrente), rimasta al palo l’ipotesi di acquisto da parte dei dipendenti, i commissari hanno sul tavolo due proposte formali e una irrituale. Le prime due, formulate da Easyjet e Lufthansa, riguardano solo alcune parti dell’azienda; la terza, del fondo americano Cerberus, è giunta dopo la scadenza dei termini e ha lo svantaggio del rischio di perdere le caratteristiche (e i vantaggi) di vettore comunitario, lo stesso problema che impedì a Etihad di acquistare la maggioranza di Alitalia.

Sulla situazione già difficile pesano obiettivi contrastanti: difendere l’occupazione (sindacati), spuntare il prezzo più alto (commissari), restituire il prestito ponte (Ue, per evitare aiuti di Stato) e così via. Poiché è difficile immaginare una soluzione che possa contentare tutti, si spiegano sia la lentezza dei commissari nel decidere (evitando così di creare al governo un nuovo problema nell’imminente campagna elettorale) sia la convocazione degli “Stati generali del trasporto aereo” per il prossimo 15 dicembre da parte del M5S. Poiché le conclusioni (lotta normativa alle low cost, limitazione degli aeroporti, riportare in Italia la manutenzione, riformare l’Enac) sono state anticipate in ottobre sul blog di Grillo, l’evento sembra finalizzato a dare un palcoscenico al candidato premier Luigi Di Maio. Con il problema che Alitalia torna in mano alla politica. Basterà cambiare partito (pardon, movimento) per cambiare il risultato?