Anche Israele nella guerra in Siria?

Di Emanuele Rossi

Durante la mattinata di mercoledì sono iniziate a circolare segnalazioni a proposito di un attacco missilistico israeliano avvenuto la notte precedente contro l’aeroporto militare Mezzeh di Damasco (il network panarabo Al Mayadeen ha detto che “le esplosioni” sono avvenute tra le 3 e le 4 del mattino). Sarebbe stato colpito “un non meglio specificato obiettivo” e ne ha parlato anche l’agenzia di stampa statale siriana Sana, che, a dispetto delle voci circolate nelle prime ore, quando si diceva di un raid aereo, ha specificato che si sarebbe trattato di una salva di missili terra-terra. Più tardi, il ministro della Difesa israeliano Avigdor Lieberman ha fornito un’indicazione laterale ma significativa sulla vicenda: “Vogliamo prevenire che armi sofisticate o di distruzione di massa arrivino a Hezbollah”, ha detto, senza però fare nessun riferimento al presente, o ai passati, attacchi condotti in via clandestina da Israele, ma di fatto ammettendoli per sottinteso. Una dichiarazione che rappresenta un unicum.

Israele in Siria

Gerusalemme fin dall’inizio del conflitto siriano e del coinvolgimento dei miliziani sciiti filo-iraniani libanesi ha sempre tenuto aperta un’opzione: poter colpire eventuali spedizioni di armi verso Hezbollah. Armi che per lo più arrivano dall’Iran, o via Iran, e che servirebbero non tanto per l’uso immediato in Siria, ma per rafforzare il gruppo libanese in vista di una prossima, potenziale (certa, come la ritengono i servizi segreti israeliani fin dal 2015) guerra contro Israele. L’ultimo conflitto s’è chiuso nel 2006, lo sbilanciamento di armamenti era enorme e i miliziani sciiti libanesi hanno arrecato tutto sommato pochi danni: ora, secondo i report della sicurezza nazionale israeliana, Teheran – nemico esistenziale dello Stato ebraico – starebbe sfruttando il caos e le maglie larghe del conflitto siriano per passare armi più tecnologiche agli uomini del Partito di Dio, emanazione degli ayatollah do Qom. Israele vuole prevenire queste consegne, e per far ciò ha sempre adottato una politica unilaterale che suona più o meno così: abbiamo satelliti e altre forme di intelligence di vario genere che ci ragguagliano su questi traffici, ci riserviamo il diritto irrevocabile di colpire qualora le informazioni si presentino affidabili, lo facciamo per nostra difesa (nel piano rientra anche una certa tolleranza armata nei confronti degli uomini dell’ex al Nusra di altri gruppi combattenti jihadisti presenti sul Golan: meglio loro che gli Hezbollah è la linea ufficiosa israeliana, perché i primi sono interessati solo a fare la guerra al regime siriano, gli altri mentre difendono Damasco mantengono l’interesse per gli ebrei). La possibilità di questi attacchi preventivi è uno dei punti che il primo ministro Benjamin Netanyahu ha avuto premura di mettere in chiaro subito con la Russia: nei giorni successivi all’ingresso in guerra ufficiale dei russi, il 30 settembre 2015, Bibi è volato a Mosca per chiarire che la politica israeliana sarebbe rimasta la stessa, e dunque voleva un lasciapassare garantito, visto che l’aviazione russa si sarebbe apprestata a prendere il controllo dei cieli siriani (e visto che quel genere di passe-partout gli era stato già garantito da Washington, l’altra grande aviazione, ma alleata, che solca i cieli della Siria).

Colpire le armi, i convogli, i depositi

Secondo le ultime analisi dei servizi israeliani, Teheran starebbe inviando armi ai miliziani di Hezbollah imbarcandoli nelle stive di aerei civili che atterrano se non direttamente a Beirut a Damasco. Da lì le armi vengono stoccate e poi caricate su camion che le trasportano verso le postazioni militari dei paramilitari libanesi – l’account Twitter dell’esercito israeliano ha pubblicato proprio martedì una mappa in cui sono segnati una miriadi di puntini che rappresentano le postazioni armate degli Hezbollah nel sud del Libano, a un passo dal confine. Questo nuovo sotterfugio che sfrutta i traffici civili sarebbe stato pensato per dare meno nell’occhio, ma dal momento che è stato scoperto e denunciato dall’ambasciatore israeliano all’Onu Danny Danon è finito nel giro di una settimana per due volte sotto i colpi israeliani. Prima di martedì, già il 30 novembre gli aerei israeliani avevano lanciato due missili di precisione contro un altro obiettivo “non meglio identificato” nell’outskirt occidentale di Damasco, e probabile anche in quel caso che si sia trattato di un carico di armi diretto agli Hezbollah (forse un camion che le stava trasportando fuori dall’aeroporto locale verso il Libano). I missili, che possono viaggiare per lunghe distanze mantenendo alta precisione (nessuno è stato colpito, infatti) erano stati lanciati dallo spazio aereo libanese.

Avviso a Trump

Come ricorda il Financial Times l’aeroporto Mezzeh colpito nella notte tra martedì e mercoledì si trova non troppo distante dal palazzo presidenziale di Bashar el Assad. E per questo le azioni israeliane suonano come un messaggio diretto anche al presidente eletto Donald Trump. Trump sulla Siria ha proposto una linea più accondiscendente nei confronti di Assad, per cercare di condividere le azioni anti-terrorismo con la Russia, alleata del regime siriano. Ma in Siria per allinearsi sull’asse russo-siriano occorre anche condividere la posizione con l’Iran, che di Damasco è il principale alleato ideologico ed è il principale contributore per i combattenti a terra, che sono in gran parte membri delle milizie sciite, tipo Hezbollah o le similari irachene. Molti degli uomini scelti da Trump per comporre la prossima amministrazione hanno una linea dura nei confronti dell’Iran, e lo stesso presidente eletto ha dichiarato durante la campagna elettorale la volontà di stracciare l’accordo sul nucleare chiuso dal suo predecessore Barack Obama. All’inizio di questa settimana il premier Netanyahu ha annunciato che appena si insedierà (ossia, il 20 gennaio) discuterà con Trump il pessimo accordo nucleare con l’Iran. Martedì Gerusalemme ha fatto capire per la seconda volta in pochi giorni al presidente eletto americano che può pure muoversi verso la Russia, ma con l’Iran agitatore degli Hezbollah vedrebbe più favorevolmente un atteggiamento severo.

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