La sicurezza del volo tra regole stringenti e approccio flessibile

Di Gregory Alegi

I vecchi piloti dicevano che “la benzina lasciata a terra non serve a niente”. Oggi la ricerca dell’efficienza gestionale e l’uso di sofisticati sistemi statistici spingono molte compagnie a caricare la minore quantità possibile di carburante. L’Easa sembra sposare questo approccio, ma in parallelo aumentano le dichiarazioni di emergenza. L’Ansv ha scoperto dati disomogenei e controlli lacunosi.

Può la quantità minima di carburante stabilita dalla normativa diventare quella massima prevista da una compagnia aerea? È quanto si chiede l’Agenzia nazionale sicurezza volo in uno studio scaturito dall’aumento delle emergenze per basso livello di carburante. La domanda diventa scottante in un momento in cui l’Agenzia europea per la sicurezza volo (che, nonostante il nome, è il regolatore europeo dell’aviazione civile) vuole passare da criteri rigidi da osservare obbligatoriamente (compliance-based) a un sistema flessibile che tiene conto della maturità della compagnia (performance based).

Ogni tanto un incidente porta alla ribalta i problemi di carburante (anche se, trattandosi di motori a turbina, sarebbe più corretto parlare di combustibile). Il più grave è forse quello che il 28 novembre 2016 vide precipitare in Colombia un Bae 146 della compagnia boliviana LaMia che trasportava una squadra di calcio brasiliana, con la morte di 71 persone e il ferimento di altre 6. L’inchiesta concluse che il quadrireattore era decollato con 9.300 chili di cherosene contro gli 11.903 necessari. In Italia il caso più grave fu quello che il 6 agosto 2005 vide un ATR 72 della tunisina Tuninter cadere davanti a Palermo, con 16 morti e 23 sopravvissuti (di cui 11 feriti). L’Ansv appurò il montaggio di un indicatore di carburante di un ATR 42, che dava quindi indicazioni inattendibili, e la mancata verifica da parte dell’equipaggio del carburante imbarcato al decollo.

Casi clamorosi, ma molto diversi da quelli esaminati dall’Ansv, che si è concentrata sugli eventi che per quanto a lieto fine indicano potenziali criticità, soprattutto in caso della somma di imprevisti. Per comprendere queste “emergenze ordinarie” bisogna prima dire come si calcola il carburante per un dato volo. Semplificando, alla quantità necessaria per il volo (il trip fuel, che dipende principalmente dal lunghezza della rotta e dal numero dei passeggeri e relativo bagaglio) si aggiungono quelle per il rullaggio (taxi fuel), per gli imprevisti (in linea di massima pari al 5% del trip fuel), per andare all’aeroporto alternato (destination alternate fuel), per riserva estrema (final reserve fuel, pari a 30 minuti di volo), per consumi maggiori quando si deve volare più basso per guasti a motore o pressurizzazione (additional fuel) o aggiunto a discrezione del comandante (discretionary fuel). Tante voci possono sembrare eccessive o difficili da comprendere, ma proviamo a pensare cosa succede quando un aereo con 200 persone a bordo ha un guasto, il vento contrario fa aumentare i consumi, il maltempo chiude l’alternato e un incidente improvviso sullo scalo di destinazione impedisce l’atterraggio? E se il problema riguardasse nello stesso momento diversi aeroplani, come accadde in Spagna nella notte del 26 luglio 2012?

È in queste situazioni che la final reserve è l’ultima carta in mano all’equipaggio e che utilizzarla, sia pure in minima parte, è considerato comunque emergenza. D’altro canto, imbarcare più carburante appesantisce l’aereo e aumenta i consumi (e, per corollario, l’inquinamento e i costi). Anche per questo le compagnie aeree usano sofisticati strumenti statistici per “prevedere” i consumi effettivi, eliminare il discretionary fuel e ridurre il più possibile le altre voci. L’introduzione di nuove traiettorie di volo permetterà ulteriori ottimizzazioni, a tutto favore della futura normativa performance-based. Ma con quali implicazioni di sicurezza? Lo studio Ansv ha coinvolto le autorità investigative straniere (con dati molto utili da Spagna e Regno Unito, dove nel triennio 2015-17 si sono registrati ben 133 eventi) e l’Enav (la società che gestendo gran parte del traffico aereo italiano “parla” direttamente con i piloti).

Il primo fatto che emerge è la disomogeneità di norme e dati. A fronte delle 32 segnalazioni che l’agenzia ha ricevuto nel 2011-17 (in media 4,6 l’anno), nel triennio 2015-17 l’Enav ne ha registrati 44 (14,7 l’anno). Se il numero assoluto è diverso, entrambi concordano sul raddoppio negli ultimi due anni: da 4 a 9 per Ansv, da 11 a 22 per Enav. Il secondo è la mancata verifica, in sede di presentazione del piano di volo, delle situazioni effettive degli alternati, in termini di capacità di accogliere un eventuale numero elevato di diversioni, ma anche delle condizioni meteo, particolarmente quando si tratti di aeroporti vicini. Il terzo è la frequenza con la quale la situazione salta da normale a mayday fuel senza passaggi intermedi, al quale si lega anche il quarto, la mancanza di verifica dell’effettivo uso della final reserve e del suo ammontare.

Le 30 pagine dello studio offrono molti spunti per tratteggiare la realtà dell’attuale sistema compliance-based, dalla mancanza del parametro del carburante residuo all’atterraggio nei sistemi di gestione del carburante di alcune compagnie, all’esistenza di procedure non scritte per la gestione dell’extra fuel. In questo contesto, l’auspicio della collaborazione tra tutti i soggetti interessati alla segnalazione degli eventi (in particolare i fornitori di servizi di gestione del traffico aereo), alla raccolta e verifica delle evidenze (le autorità dell’aviazione civile) e alle loro analisi (le agenzie investigative per la sicurezza) diventa la premessa indispensabile per evitare che la nuova filosofia performance-based non si traduca nella pura formalità degli audit su architetture gestionali più o meno formali.