“L’idea che il futuro sia differente dal presente è così repulsiva per il nostro modo convenzionale di pensare e per il nostro comportamento che, perlomeno la stragrande maggioranza di noi, se non tutti, oppone grande resistenza ad agire in pratica su di esso (il cambiamento). La difficoltà non sta tanto nell’abbracciare nuove idee, quanto piuttosto nell’abbandonare le vecchie”. Questo ben noto aforisma di John Maynard Keynes, il famoso economista britannico del secolo scorso, è del 1937 ma come tutti i celebri aforismi ha una sua intrinseca verità e validità senza tempo ed è quanto mai pertinente oggi per la tematica in oggetto.
Lo scenario di sicurezza che ci circonda sta cambiando in misura rapida e sostanziale. Lo avvertono i cittadini europei, colpiti sempre di più nel quotidiano dalle notizie degli attentati terroristici, dalle crisi violente che circondano l’Europa a sud con il conflitto siriano, il vuoto di governabilità in Libia, l’instabilità della sponda africana e nel vicino e medio oriente, e a est con la rinnovata assertività e a volte aggressività russa in Georgia, Crimea e nell’Ucraina orientale. Il mondo che ci circonda è sempre più instabile e l’illusione di una “Pax Europaea” permanente, tale da non richiedere attenzione alla propria sicurezza e difesa, è svanita. Malessere e incertezza diffusa sono divenuti parte di tutti noi cittadini europei, e la Brexit è stato un effetto non una causa di questo malessere. Il richiamo del presidente Donald Trump agli europei perché si facciano maggiormente carico della propria sicurezza e difesa sarà pure suonato ruvido e brusco, ma non per questo meno vero e corretto. Da qui, il risvegliarsi a livello europeo di una nuova attenzione alle tematiche della sicurezza e difesa europea. Ne sono testimonianza la Dichiarazione di Roma del 25 marzo scorso, il recentissimo Reflection paper on the future of european defence a firma Federica Mogherini e Jyrki Katainen, la posizione espressa in materia di difesa dal presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker con la nascita di un fondo europeo della difesa per la ricerca tecnologica, e di un secondo fondo per l’acquisizione di capacità militari.
Ciò detto, le premesse per un rilancio della difesa europea “autonoma” ci sono, purché ci si intenda sul termine autonomia e si facciano le scelte giuste. La prima è una vera volontà politica di procedere su questa strada che presuppone un vero sforzo di armonizzazione della politica estera e di sicurezza, armonizzazione non solo a livello dei governi ma anche dei Parlamenti, visto che in molti paesi europei l’utilizzo dello strumento militare è approvato da essi, cosa non facile stante le diverse culture e concezioni nazionali sull’utilizzo dello strumento militare nella gestione delle crisi. La seconda riguarda l’illusione politicamente attraente che mettendosi insieme e spendendo meglio si possa spendere di meno. Se gli europei intendono procedere sulla strada di una reale capacità militare all’altezza del potenziale economico, geopolitico e demografico dell’Unione devono spendere di più e meglio. Nessuna delle due condizioni da sola è sufficiente, entrambe sono necessarie. La terza riguarda il mercato dell’industria della difesa. Qui il processo di apertura del mercato europeo deve accelerare favorendo un ulteriore consolidamento dei vari comparti industriali che non uccida la concorrenza ma che non preservi in maniera protezionistica realtà nazionali non competitive e non autosostenibili. La quarta è una vera armonizzazione delle pianificazioni di difesa sia in termini di priorità nelle capacità da acquisire, sia in termini di tempistica di acquisizione in modo da creare una massa quantitativa e qualitativa critica tale da determinare sostanziale interoperabilità e abbattimento dei costi di acquisizione, manutenzione, supporto logistico e ammodernamento. In una parola: basta protezionismo militare. La quinta è di investire molto di più nella ricerca tecnologica poiché siamo in una fase in cui le nuove tecnologie dei big data, delle nano tecnologie e dell’intelligenza artificiale stanno aprendo la strada a una vera “Revolution in the military affairs”. Last but not least, preservare un forte rapporto transatlantico. Per quanto gli Europei possano e debbano investire nella propria difesa, recidere il cordone ombelicale con gli Stati Uniti sarebbe un errore strategico, in quanto solo le capacità unite degli Usa e di un’Europa più forte assicureranno all’Occidente quel “edge “ competitivo globale per la difesa dei valori e delle società in cui crediamo. In questo senso, il termine autonomia europea assume un significato ben preciso di autonomia nei processi decisionali, ma non in splendido isolamento bensì in trasparente e costante cooperazione con i processi decisionali Usa e dell’Alleanza atlantica. Un’Europa della difesa più forte per avere peso e influenza maggiori e determinanti nell’indispensabile e insostituibile continuità del rapporto transatlantico.