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La seconda parte della conversazione di Airpress con Jonathan Caverley, fellow presso il Woodrow Wilson Center for International Scholars e ricercatore associato in Political Science and Security Studies presso il Massachusetts Institute of Technology (Mit). Nella prima parte dell’intervista avevamo parlato della ricerca “Democratic Militarism: voting, wealth and war”. In questa seconda parte, Jonathan Caverley, autore di numerose pubblicazioni in materia di commercio internazionale di armi e industria della difesa, tocca alcuni dei più rilevanti temi di attualità, tra cui Brexit e progetto europeo di integrazione della difesa.

< Gli Stati Uniti hanno recentemente siglato il più grnade contratto di assistenza militare della loro storia. Il Memorandum of Understanding (MoU) con Israele prevede una somma di 38 miliardi di dollari in dieci anni. Quali sono i benefici per gli Stati Uniti di un’assistenza finanziaria cos’ rilevante?

> 38 miliardi di dollari in dieci anni sono sicuramente una somma enorme, a meno che tu non sia gli Stati Uniti d’America. Per gli Usa, 38 miliardi rappresentano un importo relativamente piccolo. Per esempio, se consideriamo tutta l’assistenza militare fornita dagli americani per l’acquisto di armi, generalmente chiamata foreign military financing, gli Stati Uniti spendono più di quanto Kuwait e Danimarca spendono per il loro intero budget difesa. Se si pensa a tutti i soldi che Washington impiega in aiuti militari, molti dei quali vanno a sostenere l’acquisto di armi, essi rappresentano il sedicesimo budget per la difesa al mondo. In altre parole, gli Stati Uniti spendono per l’assistenza militare più di ogni altro Stato, più di quanto l’85% circa dei Paesi spende per la propria difesa. In questo grande schema, 38 miliardi non sono poi così tanti per gli Stati Uniti, ma restano senza dubbio tanti per Israele. In ogni caso, l’altra novità importante introdotta da questo MoU è che, in cambio di tale somma, è stata eliminata l’eccezione alla regola secondo cui tutti i finanziamenti militari debbano essere usati per acquistare armamenti americani. E su questa cosa Obama ha insistito molto. In passato, al contrario di quanto avveniva per altri Paesi supportati dall’assistenza militare statunitense come Pakistan ed Egitto, per Israele vigeva un’eccezione: un parte dei fondi americani poteva essere investita direttamente per acquistare tecnologia e armamenti israeliani. Ora, tutta la somma deve essere spesa su armi americane. Di conseguenza, in un certo senso, gli Stati Uniti stanno facendo semplicemnte circolare denaro, rendendo Israele dipendente ed usando tale dipendenza per scoraggiare Israele dall’esportare, per esempio, armi verso Russia e Cina. 38 miliardi di dollari sono sicuramente tanti, ma molti di essi torneranno negli Stati Uniti.

< Spostiamoci verso un altro argomento di grande dibattito: la Brexit. Qual’è l’impatto per l’industria della difesa? La Gran Bretagna si sposterà dal difficile cammino di integrazione europea verso una più forte relazione con gli Stati Uniti?

> Rispondo attraverso alcune osservazioni empiriche. Prima di tutto, considerando tutti i Paesi del mondo, ad eccezione forse del Canada, la Gran Bretagna è il più legato al complesso industriale della difesa statunitense. La BAE Systems, per come la vedo io, è un’azienda quasi americana, in un modo in cui Airbus o Leonardo non sono. Inoltre, l’idea secondo cui la Gran Bretagna sarebbe più legata agli Stati Uniti mi sembra improbabile per quello che ha detto Obama durante la sua ultima visita nel Paese. Secondo il Presidente, uno degli aspetti chiave della Gran Bretagna agli occhi degli Stati Uniti era proprio il suo legame con il continente europeo. E Obama ha chiaramente detto che la special relation tra Usa e Uk avrà meno valore per Washington. Un seconda osservazione riguarda la cooperazione tra gli Stati europei in materia di difesa. Essa è ancora equamente minima, nel senso che, sebbene ci siano una legislazione e una sorta di sistema giudiziario per la risoluzione delle controversie tra aziende, alla fine della fiera, restano gli Stati sovrani a prendere le decisioni. Molta della cooperazione tra gli Stati europei nell’industria della difesa ha poco a che fare con il contesto legale dell’Unione europea. Di conseguenza, c’è meno da distruggere nella cooperazione in materia di difesa che in qualunque altra forma di cooperazione.

< Restando sul tema, come è considerato il processo europeo di integrazione della difesa dal governo e dalle imprese degli Stati Uniti?

> Le industrie della difesa degli Stati Uniti sono per lo più aziende globali. Per fare solo un esempio, GE sta cercando abbastanza notoriamente di realizzare un motore “ITAR-free” (al di fuori delle prescrizioni e delle regole previste dall’International traffic in arms regulations), e lo fa perché intravede un’opportunità di business. GE non è una compagnia no-profit e nemmeno un’azienda statale; ritiene di poter fare soldi vendendo questo prodotto. Per di più la spesa europea per la difesa non può far altro che salire, dato il punto di svolta dell’andamento economico che è stato il principale driver della spesa militare. Se si mantiene costante la crescita economica, come sembra che sia, dato il profilo minaccioso del mondo attuale, l’Europa aumenterà nel complesso la propria spesa per la difesa. Probabilmente alcuni Paesi spenderanno di meno, come l’Italia per esempio; ma altri spenderanno di più, come la Polonia o la Germania che ha un enorme progetto di modernizzazione tra le mani. In Svezia, Norvegia e Francia sembrano aprirsi mercati in crescita. E molte aziende americane saranno felici di vendere, assumendo che ottengano il permesso del governo americano. Dall’altro lato, proprio il governo è stato storicamente molto ambivalente circa la cooperazione europea in materia di difesa a causa di due obiettivi in contrasto tra loro. Gli Stati Uniti, infatti, vogliono un’Ue che spenda di più per la difesa ma non sembrano volere che l’Ue acquisti una qualsiasi capacità di politica estera indipendente. Credo, in ogni caso, che questo sia un obiettivo giusto; perché mai un Paese dovrebbe voler incoraggiare l’indipendenza in politica estera di altri Paesi? In questo modo, gli Stati Uniti si trovano in una posizione molto privilegiata. Economicamente, anche se gli Stati europei cooperassero tutti insieme, la dimensione del mercato della difesa per capitale e armamenti sarebbe comunque relativamente minore. Le sfide dello sviluppo tecnologico, delle economia di scala e dell’export al di fuori del mercato europeo sono enormi di fronte all’incredibile vantaggio degli Stati Uniti.

< Proprio in questa prospettiva di competizione globale, quali sono le opportunità per le industrie occidentali della difesa nei Paesi emergenti come Russia, Cina, India e Brasile?

> A livello puramente economico e senza alcuna considerazione politica, la Russia conserva un’incredibile fame per la tecnologia militare europea, anche dual use. Mosca ha esplicitamente detto che non è in grado di produrre una buona percentuale delle tecnologie essenziali per il proprio progetto di riforma militare. Gli Stati Uniti si lamentano che i propri alleati della Nato non stanno spendendo abbastanza in difesa, ed è corretto, ma spesso non si considera che il costo economico delle sanzioni inflitte sulla Russia è enorme. Non esportare armamenti, anche dual use, alla Russia è un accordo di portata considerevole. E gli Stati Uniti dovrebbero esserne consapevoli, perché un Europa che cerca di promuovere crescita e cooperazione tra industrie della difesa, potrebbe rivolgersi proprio alla Russia. Per quanto riguarda la Cina, sarebbe probabilmente felice di acquistare tecnologia europea almeno fino a quando non sarà in grado di decodificarla così come ha fatto per la Russia. L’India continuerà aa richiedere armamenti. D’altronde rimane il più grande mercato di importazione per il settore difesa. Anche in questo caso, si provi a chiedere ai francesi com’è lavorare con gli indiani sui grandi accordi militari; è estremamente complesso. Il Brasile rappresenta invece un caso interessante, ma è ancora un’economia relativamente piccola quando tratta di acquisizioni in materia di difesa e sicurezza.