, In Evidenza, Slider

Titoli allarmistici e tesi completamente ribaltate. In questo modo è stato presentato ieri dai maggiori quotidiani italiani il rapporto della Corte dei Conti sulla partecipazione italiana al programma Joint Strike Fighter. Gli F-35 per chi non è esperto del tema. Ma la realtà dei fatti è un’altra. Il rapporto è molto più positivo di quanto possa sembrare fermandosi ai titoli. E’ questo quello che pensa anche il generale Vincenzo Camporini, vicepresidente dell’Istituto Affari Internazionali e Capo di Stato Maggiore della Difesa tra il 2008 e il 2011, qui intervistato da Airpress.

Generale, ieri il documento della Corte dei Conti sulla partecipazione dell’Italia al programma F-35 ha attirato l’attenzione di molti. Forse in modo sbagliato?

Prima di tutto bisogna che la gente legga il rapporto e non si limiti a leggere i titoli, perché i titoli che sono comparsi sulla stampa italiana ieri sono assolutamente fuorvianti e non dicono quello che c’è scritto nel rapporto. Il rapporto è molto più positivo di quanto si possa immaginare. Purtroppo devo dire che tutti i giornali hanno fatto, in modo non molto professionale, un copia incolla di una nota Ansa.


Quindi il rapporto è molto più complesso di quanto possa dire un titolo errato?

Nel corpo del rapporto ci sono delle considerazioni critiche, così come ci sono considerazioni assolutamente positive. Tra l’altro nelle considerazioni critiche la Corte dei Conti è caduta nello stesso errore del suo equivalente statunitense, che per quanto concerne i costi ha guardato al costo corrente e non al costo medio proiettato per quando la produzione sarà avviata in modo massiccio.

Cosa significa?
Che sicuramente ci saranno dei costi più alti rispetto alle previsioni iniziali, ma la differenza non è così drammatica come viene illustrata nella comparazione tra le cifre che vengono citate.

Il rapporto fa riferimento a cinque anni di ritardo del programma. Cosa ne pensa a riguardo?

Da padre dell’Eurofighter, i cinque anni segnalati mi fanno sorridere. Ricordo che l’Eurofitghter è nato nel 1982 dopo un primo Memorandum of understanding tra i capi di stato maggiore; nel 1990/’91 stava per essere abbandonato dalla Germania la quale impose un ritardo nel programma per permettere una prosecuzione – decisione politica. Doveva entrare in servizio nel 1996 e sappiamo tutti com’è finita. L’Eurofighter è una macchina bellissima ma in quanto a ritardi ed extra costi non mettiamoci a fare il confronto con l’F-35.

E riguardo ai ritorni industriali di cui parla la Corte dei Conti?

Si tratta di osservazioni interessanti. La Corte dei Conti attribuisce, com’è giusto che sia, la responsabilità del mancato raggiungimento dei livelli previsti all’improvvida decisione dell’allora ministro della Difesa Giampaolo Di Paola di tagliare a 90 il numero degli F-35, dagli iniziali 131 previsti.

Perché definisce improvvida la decisione di ridurre la quota degli F-35?
Perché all’epoca – e ancora oggi – non c’è nessun impegno contrattuale ad acquisire un certo numero di velivoli. C’è semplicemente una proiezione di quelle che sono le esigenze, perché gli impegni contrattuali si prendono anno per anno in funzione dei lotti che vengono messi in lavorazione. L’avere fatto la dichiarazione ha semplicemente tagliato le gambe alla nostra industria e non mi sembra una cosa intelligente.

E per quanto riguarda i ritorni industriali previsti per il futuro?
La Corte dei Conti ammette che le prospettive future sono tali da essere positive anche per Cameri e per la sua qualifica come centro di manutenzione per tutte le flotte di F-35 europei. Dipingere questa relazione in modo negativo è superficiale per non dire disonesto.

Ribadiamo quindi le inesattezze dei titoli e dei commenti usciti ieri sui quotidiani?
Facendo riferimento solo ai titoli, i soliti ideologi italiani si sono scagliati contro la prosecuzione del programma. A chi chiede un maggior acquisto di Canadair piuttosto che di F-35, chiedo di leggere non solo giornali italiani ma magari anche quelli internazionali, per vedere in che razza di mondo viviamo e se è il caso di vivere disarmati alla mercé degli Haftar di turno, o se è necessario essere in grado di avere una politica nazionale.

Si parla anche di necessità di ammodernamento delle donazioni nazionali?
Se il programma venisse bollato, entro quattro o cinque anni saremmo senza capacità aeree d’attacco, essenziali per la difesa del Paese. Per una buona difesa è necessario essere in grado di neutralizzare le difese avversarie, altrimenti come potremmo farlo?

Quali sono le minacce da cui l’Italia deve difendersi?
L’Italia deve far fronte a tutta una serie di sfide e minacce. Fa parte di un’alleanza atlantica che ha i suoi obiettivi; tra l’altro credo sia abbastanza irrealistico che l’Italia raggiunga il livello di spesa previsto e richiesto dalla Nato, peraltro sottoscritto dai nostri governi che l’hanno approvato durante i vari vertici. Se non altro cerchiamo di mantenere alto il livello qualitativo delle nostre capacità, anche se sulle quantità dovremmo fare qualche passo indietro.

F-35 è quindi sinonimo di alta tecnologia?
Conosco tante PMI che con la partecipazione al programma hanno avuto accesso o hanno creato loro stesse accesso a nuove tecnologie. L’avanzamento tecnologico dipende da aziende di punta come quella aerospaziale. Leonardo stesso ne beneficerà.

E dal lato dell’occupazione?
Vorrei in tal senso ricordare che, è vero che il numero di addetti è limitato rispetto a quanto preventivato, ma stiamo parlando di una fase produttiva a basso regime e in cui non si è ancora avviato il processo di manutenzione di queste macchine che sicuramente occuperà un gran numero di uomini, non solo per i prossimi dieci giorni ma per il prossimi 40 anni.

Proprio parlando di manutenzione, il rapporto fa riferimento alla concorrenza estera – in particolar modo britannica. Quale messaggio dare alle nostre istituzioni e all’intero sistema-Paese?
Abbiamo una lezione da apprendere e credo che l’abbiamo già fatto. Questo non è un lavoro garantito ma bisogna conquistarselo. Bisogna partecipare al programma per essere invitati; una volta invitati si deve dimostrare di essere capaci di produrre quantità, qualità e a basso costo. Gli inglesi questa operazione la stanno portando avanti in modo assolutamente coordinato tra le loro industrie. Alle ultime competizioni le nostre industrie si sono invece presentate l’una contro l’altra ed è stata una debacle. Credo che la lezione sia stata appresa.

In che senso?
All’Aiad la cosa è stata discussa, approfondita e sono stati trovati collegamenti che permetteranno alle nostre industrie di lavorare in modo sinergico. Dobbiamo uscire dalla mentalità per cui il lavoro ci è dovuto. Dobbiamo meritarlo. E questo comporta sforzo e fatica.

Mettiamo da parte le ideologie, rimbocchiamoci le maniche e facciamo i conti con la realtà?
Esattamente.