Gli estensori del Libro bianco hanno dovuto affrontare un problema ben noto a tutti coloro che si occupano di sicurezza e difesa: l’evidente sproporzione tra le risorse e le capacità a disposizione e l’ampiezza del quadro della minaccia e dei rischi per gli interessi del Paese. L’analisi dunque elenca correttamente un gran numero di fattori militari, politici, economici, culturali, ambientali eccetera che in modi diversi, nel corso dei prossimi anni, saranno all’origine di rischi, minacce e conflitti. Inoltre, alla crescente integrazione del quadro internazionale (quella che va sotto il nome di globalizzazione e che vede i nostri interessi sempre più interdipendenti con l’evoluzione del contesto internazionale) corrisponde anche una preoccupante frammentazione delle capacità di governo del sistema, in particolare della sua sicurezza, resa più complessa e incerta dall’emergere di svariate nuove potenze di dimensione globale, i cui rapporti con le vecchie potenze egemoni e con il mantenimento della sicurezza del sistema sono tutt’altro che chiari e definiti. Non ci sono risposte soddisfacenti a questa situazione. La scelta oscilla tra i due estremi della chiusura a riccio in autodifesa di quel poco che forse può essere difeso autonomamente, con un più alto livello di certezza (nel caso italiano, probabilmente, alcune parti del territorio nazionale), oppure l’adesione a una coalizione di potenze interessate ad accrescere, o quanto meno a difendere la sicurezza globale. Quest’ultima è la scelta compiuta dal Libro bianco, in linea con l’appartenenza dell’Italia a quella che gli estensori chiamano “area euro-atlantica”. È evidente però come in tal modo si renda la propria sicurezza dipendente anche da scelte altrui (in primis dagli Stati Uniti e poi dai maggiori Paesi europei, dalla Nato e dall’Ue) e come questo obblighi l’Italia, nell’ambito del mantenimento della solidarietà reciproca, a impegnarsi in missioni e operazioni per la difesa degli interessi di volta in volta individuati come più importanti per l’area euroatlantica, anche quando essi non coincidano singolarmente con gli interessi vitali dell’Italia. In realtà su questo punto il Libro bianco avanza, in modo non esplicito e non definitivo, una sorta di caveat che potrebbe indicare una certa reticenza a rispondere sempre e comunque positivamente a eventuali richieste alleate, nel momento in cui afferma, in premessa, al paragrafo 25, che se da un lato non possiamo concentrarci solo su alcuni specifici obiettivi, geograficamente ristretti, “le effettive dimensioni del Paese e dei suoi interessi complessivi (impongono) l’adozione di un rigoroso realismo nella definizione delle priorità e nella scelta degli strumenti d’intervento. Ogni differente scelta che facesse deflettere verso un approccio “non realista” ai problemi della sicurezza internazionale si tramuterebbe in un forte dispendio di risorse e in una tutela degli interessi nazionali molto meno che ottimale. Insomma, siamo disponibili a cooperare, ma vi invitiamo a tenere conto dei nostri limiti, che sono importanti. Posizione certo prudente e realistica, che però potrebbe essere percepita come limitativa e disinteressata ai problemi degli altri Paesi membri dell’area euro-atlantica, se non gestita con prudenza e flessibilità. Ciò è tanto più vero in quanto, subito dopo, il Libro bianco avanza una richiesta importante di solidarietà agli alleati, sostenendo la necessità di considerare le risorse e gli interessi dell’area euro-atlantica come elementi portanti della sicurezza dell’area euro-mediterranea. Il ragionamento non fa una grinza, dal punto di vista dell’Italia e in genere dei Paesi parte di quest’ultima area, ma potrebbe essere visto in modo diverso dai Paesi che sono più direttamente coinvolti con l’area euro-russa e con gli eventi in quella zona (nonché, in una prospettiva ancora più larga, con le preoccupazioni di chi, come soprattutto gli Usa, deve garantire anche gli equilibri all’area Asia-Pacifico). Qui l’analisi è forse un po’ semplicistica. Vediamo ad esempio il paragrafo 50 “[…] Mentre nel contesto euro-atlantico la partecipazione a consolidati meccanismi di prevenzione, deterrenza e difesa collettiva (Alleanza atlantica e Unione europea) assicura al Paese un’adeguata condizione di sicurezza, la possibilità di creare analoghe condizioni nella regione euro-mediterranea richiede che la stessa divenga l’ambito di azione prioritario degli interventi nazionali”. La crescente importanza delle tattiche della cosiddetta “guerra ibrida” o “asimmetrica”, anche nel contesto russoeuropeo diminuisce la valenza proprio di quei meccanismi di prevenzione, deterrenza e difesa collettiva indicati dal Libro bianco e ci costringe a guardare con attenzione crescente a est oltre che a sud (aggiungendo a questo la considerazione che comunque l’Ucraina e la Crimea sono sulle coste dell’area euro-mediterranea e che la Russia è ben presente e attiva in questa stessa area, come del resto la Cina, il Giappone, eccetera). Se quindi appare ben comprensibile e difendibile la tesi di fondo del Libro bianco, che tende a concentrare il massimo dell’attenzione strategica italiana sull’area euro-mediterranea, appare meno chiara e convincente l’argomentazione che vorrebbe giustificare una piena integrazione di quest’area nell’ambito della principale area euro-atlantica. La prima è una scelta politico-strategica chiara, su cui si può discutere, ma che sembra in linea con le ridotte capacità del Paese. La seconda è invece un auspicio, un obiettivo da perseguire, tutt’altro che garantito, specie nelle forme e quantità sperate dall’Italia. Il problema però è che, senza questo secondo elemento, la prima scelta risulta del tutto inadeguata e velleitaria, malgrado la restrizione dell’area di interesse strategico primario. Troppi interessi sono attivi in Medio Oriente e in Nord Africa per poter delineare una strategia “nazionale” e troppo importanti sono le risorse, anche solo militari, messe sul campo dagli attori regionali e dalle potenze esterne. L’approccio collettivo quindi non è un bonus che si aggiunge alla scelta nazionale, ma un prius che rende quella scelta possibile. Si delinea così una insopprimibile tensione tra la dimensione politica e istituzionale del Libro bianco (la difesa “nazionale”) e la realtà delle esigenze strategiche (la difesa “collettiva”). Il Libro bianco riconosce questa problematica centrale di qualsivoglia pianificazione della difesa di ogni Paese euro-atlantico (con la sola parziale, sottolineo parziale, eccezione degli Stati Uniti), ma non ne fa il centro della sua riflessione strategica. È forse un errore?