La minaccia terroristica sta rapidamente cambiando pelle, aumentando l’imprevedibilità e i rischi per la sicurezza nazionale. L’Italia ha però gli strumenti per difendersi, anche se “il salto di qualità” passa per una maggiore collaborazione nel Vecchio continente. Parola del ministro della Difesa Elisabetta Trenta, che questa mattina è intervenuta alla Camera in occasione del lancio di ReaCT, l’Osservatorio sul radicalismo e il contrasto al terrorismo, frutto delle sinergie tra diverse realtà pubbliche e private, tra cui StartInSight, ItsTime, il Cemas, la Link Campus e la Sioi. Come partner aderiscono a React anche il Centro di ricerca sulla sicurezza e il terrorismo (Crst) e il Gruppo italiano studio terrorismo (Grist), mentre Formiche partecipa in qualità di media partner.
LE PAROLE DELLA TRENTA
“Oggi siamo purtroppo di fronte a un tipo di terrorismo diffuso, pervasivo e delocalizzato; un terrorismo molto insidioso perché imprevedibile”, ha spiegato la Trenta. Al suo contrasto, ha aggiunto, “l’Italia è da sempre impegnata”. Eppure, “serve ora un salto di qualità nella collaborazione tra gli Stati membri dell’Unione europea”. Si tratta di “azioni, strategie e legislazioni comuni, nonché di politiche comuni” o, in altre parole, di “una sicurezza europea”. A questo si legano tanti degli impegni all’estero dei soldati italiani. “Uno degli obiettivi della presenza dell’Italia in molte aree di crisi – ha notato la Trenta – è quello di incrementare le capacità delle Forze di Sicurezza locali al fine di renderle capaci di far fronte, efficacemente ed in autonomia, alla precaria situazione di sicurezza”.
COME CAMBIA LA MINACCIA
La minaccia è comunque in continua evoluzione. Dal 2013 al 2018, ha spiegato Paola Giannetakis, docente alla Link Campus University, la maggior parte degli attentati è avvenuta a opera dei lone wolf, ovvero “una serie di soggetti che hanno intrapreso il processo di radicalizzazione autonomamente, ideando e pianificando attacchi terroristici senza far parte di alcun gruppo”. Considerato che la maggior parte degli ultimi attentati è stata effettuata con strumenti “poveri”, come armi bianche a veicoli, c’è stato “un cambio nella logica degli attacchi terroristici”. Attualmente, si potrebbe dunque affermare che è il piano di un attentato a essere definito dal tipo di strumenti a disposizione, mentre precedentemente si sarebbe adottata una logica inversa.
SE L’ISIS HA FATTO EVOLVERE IL TERRORISMO
A influire sull’evoluzione della minaccia è stata senza dubbio l’esperienza dell’Isis, ha notato Andrea Manciulli, presidente di Europa Atlantica. La nuova stagione del terrorismo targato Stato islamico “ha influenzato radicalmente il mondo”. A differenza dei precedenti gruppi terroristici, l’Isis ha iniziato a impiegare una serie di tecniche e strategie alternative, “trasformando la comunicazione in una delle principali armi per la diffusione del virus jihadista”. Malgrado abbia perso buona parte del suo potere, ha sottolineato Manciulli, lo Stato islamico può ancora vantare “una sua eredità destinata a durare a lungo”. In particolare, gruppi terroristici come Al-Qaeda potrebbero fare tesoro della lezione del Daesh, riprendendone la strategia comunicativa e beneficiando dai suoi errori. D’altra parte, ha spiegato il presidente di Europa Atlantica, “anche il quadrante del Sahel e l’Asia centrale possono considerate zone a rischio, considerato che la loro situazione interna le rende particolarmente esposte al virus jihadista”.
IL FENOMENO DELLA RADICALIZZAZIONE E I FOREIGN FIGHTERS
Tra gli elementi più evidenti del nuovo terrorismo ci sono i foreing fighters. A fare il punto sulla consistenza della minaccia è stato il docente della Sioi ed esperto di politica internazionale, Matteo Bressan, che ha parlato di 35mila guerriglieri provenienti da 104 Paesi, sottolineando una considerevole presenza di cittadini europei. Durante il suo intervento, l’esperto ha spiegato che il fenomeno è “molto più complesso di quanto pensiamo, in quanto si tende a considerare erroneamente i foreing fighters come un gruppo di natura omogenea”. In realtà, questa macro categoria è composta al suo interno da numerosi individui provenienti da contesti radicalmente diversi, che perseguono obiettivi spesso inconciliabili, se non avversi, tra loro. Infine, è stata sollevata la questione relativa ai prigionieri jihadisti, visto che attualmente il dibattito circa le modalità della loro reclusione, e il successivo monitoraggio, è ancora molto accesso. Revocare la cittadinanza ai combattenti stranieri? “È necessario agire sul piano giuridico”, ha rimarcato Bressan. Una prospettiva condivisa da Stefano Dambruoso, secondo cui in tema di radicalizzazione, “per essere in grado di garantire il recupero definitivo di questi soggetti occorre un forte strumento giuridico”.
COME RISPONDE L’ITALIA
L’Italia può comunque contare su un comprovato sistema di prevenzione e contrasto alla minaccia terroristica. Le tre buone pratiche secondo Claudio Galzerano, direttore del servizio per il contrasto dell’estremismo e del terrorismo esterno, che il nostro Paese dovrebbe continuare a seguire sono riassumibili in tre parole chiave “insieme, condivisione, territorio” La prima parola si riferisce alla necessità di mettere in contatto i key player dello Stato, ovvero tutte quelle figure che si trovano ai vertici di ciascuna forza di Polizia e di intelligence, per garantire quella che il direttore definisce “osmosi informativa”. Infatti, solo attraverso questo insieme di attori è possibile assicurare una completa condivisione delle informazioni, visto che in assenza di un’azione ben concertata non è possibile affrontare un fenomeno multidimensionale come il jihadismo. Ne consegue l’importanza della dimensione territoriale, ha notato Galzerano, visto che la lotta al terrorismo necessita di un approccio che parta anche dal basso. Difatti, l’operatore sul territorio, così come il cittadino, rappresentano gli elementi fondamentali per la prevenzione, in quanto sono coloro che possono notare i primi campanelli d’allarme. “Ci dobbiamo sentire tutti come un anello di un’unica catena di sicurezza che va dal mondo politico a quello accademico, passando ovviamente per le forze di polizia”, ha detto il direttore.
IL RUOLO DELLA DIFESA
“Alla crescente richiesta di sicurezza – ha notato il sottosegretario alla Difesa Angelo Tofalo – la Difesa risponde con l’azione delle Forze armate nei teatri di crisi all’estero e sul territorio nazionale. In tale prospettiva, l’Italia sta svolgendo un ruolo determinante per la sicurezza internazionale, prima nazione dell’Europa nelle missioni europee e tra le prime in quelle sotto l’egida dell’Onu e della Nato”. Inoltre, ha ribadito il sottosegretario, la condivisione di informazioni tra i diversi attori dello Stato resti sicuramente “la principale arma”, in quanto ci troviamo difronte a “un fenomeno reale e attuale che negli anni ha subito un’evoluzione che lo ha reso imprevedibile e poliedrico” che richiede “un approccio quanto più completo”.