L’auspicio è che la Marina militare non sia in permanenza destinata, come l’Esercito, a pattugliare i mari in attività che devono restare concorrenti e limitate a specifici periodi di tempo e soprattutto non di esclusiva competenza della Difesa. Senza trascurare la titolarità o meno della missione e la filosofia d’impiego di uno strumento non pensato per il tipo di attività, non del tutto adatto e decisamente costoso. O questo tipo di considerazioni vanno in sub-ordine rispetto ad altre quando si tratta di riscuotere visibilità e consenso?
Ancora non era capitato di vedere barche di migranti tallonate da sottomarini a quota periscopica o dei disperati arrampicarsi lungo le murate di navi da guerra.
Il sorprendente è che non sia stato rilevato nulla di anormale in tutto ciò e che anche i più acuti cronisti, commentatori di grido o analisti gettonati e onnipresenti sui media nazionali, abbiano considerato assolutamente lecito l’impiego di naviglio militare in operazioni massive di soccorso in mare, tanto che qualcuno si è sentito incoraggiato a menare vanto per questo stravagante utilizzo delle forze navali nel rispetto di chissà quale concetto operativo, sicuramente partorito da mente diabolica e spregiudicata.
Si tratta di un’altra bizzarria italiana, vi è ossia da temere che siamo ancora in presenza di una stortura di sistema, avviata verso forme di strisciante radicalizzazione?
La domanda è più che legittima in un Paese dove l’uso delle Forze armate in supplenza e sostituzione di altri apparati dello Stato inadempienti e latitanti è fatto considerato del tutto naturale, il loro impiego in queste circostanze è decisione del tutto automatica, d’altra parte a che servono le Forze armate se non a questo? E quindi, anche quando la fase emergenziale di questa o quella situazione venga abbondantemente superata, ecco che i militari e i loro mezzi rimangono legati all’infinito a quella o questa “emergenza”. Sono circa trenta anni che pattuglie di militari professionisti vengono impiegate a supporto di attività di ordine pubblico e sicurezza, senza che ormai alcuno non dico si indigni, ma riconsideri semplicemente la questione, restituendo dignità e soprattutto efficacia a un servizio la cui utilità è purtroppo reale e non solo percepita, soprattutto nelle grandi aree urbane.
Vi è quindi da augurarsi che la Marina militare non sia in permanenza destinata, come l’Esercito, a pattugliare i mari in attività che devono restare, sottolineo, concorrenti e limitate a specifici periodi di tempo e soprattutto non di esclusiva competenza della Difesa. E qui si potrebbero fare ulteriori e più profonde considerazioni non solo sulla titolarità o meno della missione, ma sulla filosofia d’impiego di uno strumento non pensato per il tipo di attività, non del tutto adatto e decisamente costoso. O questo tipo di considerazioni vanno in sub-ordine rispetto ad altre quando si tratta di riscuotere visibilità e consenso?
Sarebbe curioso poi capire chi ha fatto cosa, nel periodo di più copiosa migrazione, domanda anche questa legittima in Italia. Ci si sarebbe aspettati una razionale attività di coordinamento dei diversi e possibili operatori statuali per fronteggiare questa emergenza sociale. E invece, l’attività di coordinamento, l’unica consentita al vertice di governo, si è rilevata, come spesso avviene in questo Paese, sistematicamente difficoltosa o ignorata, soprattutto nei momenti in cui – e ne abbiamo visti tanti di recente – un operatore, per i suoi più svariati motivi decida di sopraffare gli altri possibili attori.
Vengono in mente le sistematiche invasioni di campo tra i diversi soggetti istituzionali, impegnati a rivendicare la propria titolarità per questa o quella operazione, missione, diatribe senza fine e senza esclusione di colpi nel momento in cui assicurarsi, in via prevalente o esclusiva, una attività possa voler dire lustro, visibilità, risorse o il raggiungimento di un obiettivo, spesso da tenere riservato.
Per andare invece, nel concreto, al cuore del problema, andrebbero fatte delle verifiche serene sull’adeguatezza della struttura nazionale di ricerca e soccorso destinata a mitigare il fenomeno migratorio, e a eliminare i drammi sempre più spesso associati alle lunghe traversate.
La “Sea picture” per esempio, ovvero la minuziosa mappatura del traffico marittimo che oggi è possibile riprodurre nei centri di controllo, è la migliore ottenibile con la dislocazione dei sistemi radar costieri, è integrata con altri sensori, è condivisa con tutte le agenzie nazionali ed estere impegnate nel monitoraggio dei mari?
Il Servizio di soccorso aereo può contare su una capacità adeguata, sulla disponibilità di mezzi con coerenti con il tipo di missione e con le dimensioni del fenomeno? Non si fronteggiano situazioni delle proporzioni bibliche con una manciata di elicotteri dalle più disparate livree e per di più senza poter contare su professionalità mirate alle specifiche esigenze.
E così si potrebbe continuare, con quesiti tecnici concreti cui fornire risposte convincenti, ben altro approccio rispetto a una sterile, costosa e incomprensibile militarizzazione del Mediterraneo. Verremo ascoltati? Chissà?!
Leonardo Tricarico