Condivisione delle informazioni, responsabilizzazione dell’industria e progetti comuni di difesa È questa la ricetta che i capi di Stato e di governo dell’Unione europea hanno individuato per contrastare le minacce alla sicurezza del Vecchio continente, terrorismo in primis.
Il vertice a Bruxelles
I 28 leader – questa volta c’è anche Theresa May, assente a febbraio a Malta, dato che oggi si parlerà anche di Brexit – sono riuniti a Bruxelles per la due-giorni del Consiglio europeo. Oggi si apre il caldo dossier migranti, per il quale Paolo Gentiloni ha invocato maggiore solidarietà da parte degli Stati membri. Intanto però, ieri è stato il giorno del rilancio della difesa comune. La frequenza degli attentati degli ultimi mesi, seppure con una ridotta spettacolarità e un minor impatto in termine di vittime, ha dissolto gli ultimi dubbi relativi al progetto disegnato dalla Global Strategy presentata, circa un anno fa, dall’Alto rappresentate Federica Mogherini. E così, la prima giornata del Consiglio europeo ha visto i capi di Stato e di governo focalizzarsi proprio su lotta al terrorismo e difesa comune. “Ciò che è iniziato nel 1954 (ndr, l’idea di difesa europea) e che poi non è più stato menzionato fino a due anni fa, sta accadendo adesso”, ha detto il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker.
Contro il terrorismo
Per quanto riguarda il contrasto al terrorismo, la priorità resta la condivisione delle informazioni di intelligence. La trans-nazionalità della minaccia rende la ripartizione delle informazioni tra le agenzie nazionali un limite importante al suo contrasto. Su questo tema sono già stati fatti passi in avanti importanti: dal 2015 al 2016 il numero di foreign fighter registrati nel database dell’Europol è cresciuto del 162%, mentre le allerte create nello Schengen Information System sono aumentare del 27%. Anche l’industria però deve fare la sua parte. “Stiamo invitando le aziende di social media a fare tutto il necessario per prevenire la diffusione di materiale terroristico su Internet”, ha spiegato il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk. “In pratica – ha aggiunto –, ciò significa sviluppare nuovi strumenti per individuare e rimuovere tali materiali automaticamente e, se necessario, siamo anche pronti ad adottare una legislazione rilevante”.
La Pesco in tre mesi
Il secondo tema riguarda la difesa comune. Il progetto, come già illustrato da Federica Mogherini, si basa sul “Pacchetto difesa”, composto dalla Global Strategy (con i programmi attuativi correlati), dall’European Defence Action Plan della Commissione, e dalla collaborazione con la Nato; elementi ribaditi ieri dai capi di Stato e di Governo a Bruxelles. Per l’attuazione della Strategia globale, il primo passo è la cooperazione strutturata permanente (Pesco), già prevista dal Trattato dell’Unione europea agli articoli 42 e 46, a cui i 28 leader hanno ora dato il proprio chiaro consenso. “È un passo storico poiché tale cooperazione permetterà all’Ue di procedere verso una più profonda integrazione”, ha detto Tusk. “In tre mesi, gli Stati membri definiranno una lista comune di criteri e impegni, inseme a progetti di capacità concreti, così da portare sul terreno tale cooperazione”, ha spiegato ancora il presidente del Consiglio europeo. La lista di criteri e progetti dovrà contenere una precisa tabella di marcia e meccanismi di valutazione specifici, in modo da porre gli Stati membri in condizioni di chiarire, “senza ritardi”, l’intenzione di partecipare o meno alla Pesco che, come specificato dai trattati, è a base volontaria.
Il Fondo per la difesa e la collaborazione con la Nato
Accolta con favore anche la comunicazione della Commissione sul Fondo di difesa europea, di cui i leader hanno auspicato una rapida attuazione. Accanto ad esso si colloca l’European Defence Industrial Development Programme, ancora in fase di proposta, a cui spetterà l’individuazione dei progetti da sviluppare attraverso procurement condivisi e finanziati dal suddetto fondo. “La proposta di creare un fondo è necessaria”, ha detto Juncker; “c’è una stanza per lo sviluppo ed è esattamente quello che abbiamo deciso oggi”. Difatti, ha aggiunto, “spendiamo metà del budget militare degli Stati Uniti ma la nostra efficienza è il 15%”. Eppure, proprio la cooperazione con l’altra sponda dell’atlantico rappresenta il terzo pilastro del Pacchetto difesa, a cui non è mancato il riferimento nella conclusioni del Consiglio. Inevitabile, dato che su di essa si basa da sempre (almeno dal secondo dopo guerra) la politica estera e di difesa della maggior parte dei Paesi dell’Ue. Un riferimento necessario soprattutto a rassicurare gli Stati membri orientali per i quali Stati Uniti e Nato restano la principale garanzia di sicurezza e difesa. “La relazione transatlantica e la cooperazione Eu-Nato resta di rilevanza chiave per la nostra sicurezza complessiva, permettendoci di rispondere alla minacce in evoluzione, incluse cyber, ibride e terrorismo”, si legge nelle conclusioni del Consiglio.
Il fattore Trump
Oltre agli attentati terroristici, a velocizzare questo processo, su cui l’Ue ha scommesso il proprio rilancio dopo anni di crisi e austerity, ci ha messo del suo anche Donald Trump. “Troppo imprevedibile”, secondo il neo presidente francese Emmanuel Macron, e dunque vera spinta a una maggiore assunzione di responsabilità da parte dei Paesi europei. In realtà, nonostante quanto detto dal leader di En Marche, il contributo del presidente Usa sta forse, al contrario, nella sua prevedibilità; perché il tycoon – si veda il discorso al Summit Nato di maggio, o l’annunciato arretramento dagli accordi sul clima di Parigi – sta agendo esattamente come aveva annunciato, chiamando così gli alleati a fare la propria parte. E proprio questo, insieme a una buona dose di America first, ha convinto gli Stati europei ha procedere con decisione verso l’integrazione della difesa.
L’accordo politico
Le condizioni esterne sembrano dunque tutte a favore della buona riuscita del progetto targato Mogherini-Juncker. A facilitare il tutto sono intervenuti però anche elementi interni all’Unione, che hanno creato un momento politico ideale per l’accelerazione sulla difesa. Prima di tutto la Brexit, che ha tirato fuori dai giochi il Regno Unito, da sempre tra i più avversi all’idea di integrare il settore difesa. In secondo luogo, l’asse italo-franco-tedesco, che da agosto 2016 ha visto i governi dei tre Paesi unirsi per una spinta decisa al progetto. Poi, la progressiva eliminazione dei veti posti dai Paesi membri dell’est, agevolata senza dubbio da quello che allora (tra dicembre 2016 e gennaio 2017) appariva il riavvicinamento tra Mosca e Washington. Infine, la vittori di Emmanuel Macron, che almeno fino ad adesso si è dimostrato molto più convinto a proseguire sulla via dell’integrazione rispetto al suo predecessore. Le condizioni ci sono; ora da Bruxelles arriva anche la definizione degli impegni. Tutto starà nel vedere come verranno attuati e quanto gli interessi dei singoli Paesi riusciranno davvero a convergere.