L’analisi di Biagio Costanzo, dirigente di Azienda e docente in Scienze criminologiche per la difesa e la sicurezza
Quando si parla di “Contractor” è ancora forte nel nostro Paese un atteggiamento sospettoso che alimenta una sorta di mito negativo. Si pensa subito a “mercenari pronti a tutto” e non alla realtà, ovvero una figura professionale che si occupa di servizi di sicurezza e di difesa di cose e persone. Come si fa a confondere il mercenario, l’unica figura vietata dal diritto internazionale (colui che per mero interesse economico prende parte a un conflitto armato senza far parte di una nazione in conflitto), con i Contractor, professionisti della sicurezza regolati a livello internazionale?
LA NORMATIVA IN ITALIA
Difatti, nonostante l’Italia abbia aderito alle Convenzioni di Ginevra, ai relativi protocolli addizionali e, soprattutto, al Documento di Montreux del 2008, non si è però mai dotata di una specifica normativa in materia, a parte quella che riguarda gli istituti di vigilanza, che però possono proteggere solo cose e strutture, oltre alla legge sull’antipirateria marittima. Dunque, esiste un vuoto legislativo, cosa inconcepibile in un sistema mondiale dove la privatizzazione della sicurezza è ormai qualcosa del tutto regolamentata e assodata. Ad oggi, sia la legge antipirateria in mare, sia quella che riguarda gli istituti di Vigilanza, sono comunque così complesse che le nostre maggiori aziende multinazionali che operano fuori dai confini nazionali sono, spesso, costrette a ricorrere prevalentemente alle cosiddette PMC (Private Military Company), PSC (Private Security Company) o PIC (Private Intelligence Company) straniere per proteggere le loro attività e il loro personale.
IL RUOLO DEI CONTRACTOR
In pochi sono a conoscenza che quasi il 60% delle attività lavorative delle imprese italiane si svolge, del tutto o in parte, fuori dal territorio nazionale. Le imprese sono di fatto costrette ad avvalersi di consulenti ed operatori di sicurezza stranieri, perché in Italia, a causa della lacuna normativa, non riescono a svilupparsi PMC, PSC o PIC, lacuna che inoltre blocca anche opportunità di sviluppo per piccole medie aziende del settore, mortificando una altro volàno di occupazione per un Paese evidentemente in affanno e in perenna emergenza lavoro. Finché si faranno leggi sulla base di ondate emotive (quella sull’antipirateria marittima nasce sull’onda dei sequestri di navi e equipaggi italiani ) e non sulla base di una seria riflessione e valutazione del problema sicurezza, il minimo che possa succedere è che ci siano questi vuoti normativi.
IL CONTESTO GLOBALE
Eppure, non è più possibile legiferare in base a pregiudizi o momenti emozionali. Quando parliamo di sicurezza, sarebbe davvero necessario usare sempre molta razionalità, competenza e, questa volta sì, non chiacchiere ed enunciazioni continue e vuote, ma eseguire una seria valutazione dei costi e dei benefici. Sul concreto, quanto costa al nostro Paese non avere un legislazione moderna sulle società di sicurezza? Quali sarebbero per noi i vantaggi sul nostro territorio e per le nostre aziende all’estero? Il mondo è cambiato, ma in Italia sembra che nessuno se ne accorga. Le maggiori compagnie del settore, come Halliburton, Cubic, Saic, Mpri, Vinnell, DynCorp, la già famosa Blackwater, appaiono saldamente ancorate, con il loro business espresso in centinaia di milioni di dollari, alla classifica delle 500 maggiori imprese americane e, al momento, non ci sono segnali che questo trend rallenti o decresca.
COME NASCONO LE SOCIETÀ MILITARI PRIVATE
I conflitti, a partire dall’ultimo decennio del secolo scorso, sono stati combattuti con l’impiego di contractor civili per assicurare la pace e la ricostruzione, nonché per riformare le istituzioni di sicurezza, portando così alla nascita delle Società Militari Private che oggi conosciamo, ovvero vere e proprie imprese militari specializzate in operazioni di combattimento, piani strategici e di supporto operativo e logistico, training e approvvigionamento e mantenimento di armi ed equipaggiamenti. Di fatto, è stata la confluenza di diversi fattori di sfida e cambiamento che sin dall’inizio degli anni 90 ha portato al riemergere di queste entità, fino a farle diventare rapidamente una vera e propria industria. La prima ragione fu senz’altro politica. La fine della Guerra fredda spinse gli Stati a una sostanziosa riduzione di pressoché tutte le Forze armate nazionali, creando un surplus di offerta di manodopera militare di elevata qualità.
UN MONDO IN CAMBIAMENTO
La verità è che il crollo del muro di Berlino ha causato un’enorme riduzione di militari impiegati in entrambi gli schieramenti, per un totale di circa 7,4 milioni di uomini smobilitati e costretti a trovarsi un nuovo impiego. Analogamente, l’eliminazione dalle Forze armate nazionali delle unità logistiche – per conservare le unità combattenti, considerate il cuore della funzione militare – insieme all’enorme numero di crisi che ha caratterizzato tutti gli anni 90 fino ad oggi, si sono ricollegati alla mancanza di volontà di intervento da parte degli Stati, non più disponibili a mettere a rischio la vita dei propri soldati in operazioni non più strettamente correlate agli interessi nazionali primari.
LA RISPOSTA AL “VUOTO DI POTERE”
È facile pertanto immaginare come, in un contesto in cui gli Stati si ritirano gradatamente dalla scena lasciando un vero e proprio “vuoto di potere” (dovuto allo scioglimento dei due precedenti blocchi) e rimodulando il controllo internazionale, i conflitti nascosti abbiano avuto un’impennata a cui le forze di intervento “pubblico” non potevano far fronte. Le PMC hanno quindi colmato quel vuoto, assorbendo in buona parte la manodopera specializzata congedata dagli eserciti e riaddestrandone altra a loro volta, così da coprire la fornitura di quei servizi logistici a cui gli eserciti avevano rinunciato e rendendo disponibili delle unità preparate a costo inferiore. In tale contesto di crescente crisi e disordine internazionale, si è aperto conseguentemente un sempre più florido commercio internazionale di armi che non solo poteva contare su un crescente numero di venditori e di compratori, ma anche su una grande varietà di attori che avevano accesso alle armi. Questo, abbinato alla sempre maggiore necessità degli Stati in via di sviluppo di assistenza per il mantenimento dell’ordine e della sicurezza, ha dato alle PMC la possibilità di trarre profitto dai conflitti, impegnandosi anche su questo fronte. Fornendo assistenza umanitaria e supporto al sistema di distribuzione degli aiuti poi, le PMC sono state ingaggiate persino da organizzazioni umanitarie pubbliche e private, Ong e agenzie dell’Onu, al fine di assicurare la protezione del loro stesso personale nelle aree instabili.