Come contrastare la potenza nucleare della Corea del Nord

Di Emanuele Rossi

Dopo il nuovo test atomico nordcoreano, compiuto con quella che il regime ha definito una bomba H domenica 3 settembre, il presidente americano Donald Trump ha assunto un atteggiamento misurato. La sottolineatura, che nel caso di un capo di Stato sarebbe quasi inutile, è importante perché non solo gli Stati Uniti sono uno dei principali attori di quella che da qualche mese stiamo chiamando “la crisi nucleare nordcoreana” proprio perché Trump ha elevato la minaccia – persistente da anni – a problema globale, ma sono anche i protagonisti di una nuova linea retorica molto dura che avrebbe dovuto destabilizzare, per deterrenza, le pretese del dittatore Kim Jong-un. Ma al momento non c’è riuscita.

Le opzioni militari

Domenica, a caldo, Trump ha fatto uscire una serie di tweet in cui ricordava la pericolosità di un Kim-atomico, e poi, uscendo dalla messa, ha risposto al volo alla domanda di un reporter che gli ha chiesto “attaccheremo?”: “Vedremo”, ha detto il presidente. Successivamente si è riunito con il capo del Pentagono e il gruppo dei consiglieri militari, e dalla riunione è uscito James Mattis, il segretario alla Difesa, che alla stampa ha dichiarato: “Abbiamo diverse opzioni militari, e il presidente ha voluto essere informato su ognuna di loro”, poi ha aggiunto che “ogni minaccia per gli Stati Uniti o i suoi territori, tra cui Guam, o i nostri alleati, si troverà davanti una massiccia risposta militare”, che sarà “sia efficace che travolgente”.

Un altro test in arrivo?

Risultato? Oggi, lunedì 4 settembre, i media sudcoreani parlano di un nuovo possibile test missilistico del Nord: queste informazioni sono piuttosto attendibili (frutto di dettagliate info di intelligence), e dunque sembra che Kim non sia troppo interessato alle minacce americane. Mattis, alla fine, domenica ha ricordato che “non stiamo comunque pensando al totale annientamento di un paese, ossia della Corea del Nord”. Il segretario, quando Trump dopo il test balistico nordcoreano sopra al Giappone dell’inizio della scorsa settimana disse che non ci sarebbe stato più nessun tentativo di dialogo con il Nord, sottolineò che in realtà la via negoziale non era ancora chiusa. Ma in che senso possono andare questi negoziati?

Accettare il Nord-atomico?

C’è una traiettoria da seguire, perché è considerata da molti la più realistica e potrebbe portarsi dietro una serie di cambiamenti negli equilibri globali. Ci sono infatti diversi analisti che da tempo credono che ormai forse è conveniente approcciarsi a Pyongyang come si fa con una potenza nucleare de facto, chiedendo “solo” di rallentare il programma e costruirci intorno un nuovo equilibrio. A maggior ragione alla luce del test di domenica, che potrebbe aver dimostrato che il Nord ha raggiunto il livello tecnologico della bomba termonucleare, la più devastante. “Personalmente sono fermamente convinto che oramai l’unico modo per approcciarsi in maniera credibile alla Corea del Nord è questo”, commenta con Formiche.net Marco Milani, esperto di Corea del Nord e Asia della University of South California.

Perché? (Chiedere a Russia e Cina)

“È anche la prospettiva che in maniera più o meno esplicita stanno perseguendo alcune potenze coinvolte, quali Cina e Russia, chiedendo un dialogo che non ponga subito al centro la necessità di de-nuclearizzazione”, aggiunge. Pyongyang, spiega Milani, ha dimostrato di fare passi avanti molto rapidi, e l’ultimo test nucleare potrebbe essere “un punto cruciale”. L’analista italiano sottolinea che al momento, comunque, sembra che sulla parte missilistica manchino ancora delle componenti fondamentali per costruire un sistema di lancio a lungo raggio preciso e affidabile.

Come mai il nucleare è così centrale per Kim?

A che punto è Kim col programma? “Mentre in passato il programma nucleare poteva essere visto come un’assicurazione sulla vita per il regime o anche come una leva negoziale all’interno di contesti quali il Six Party Talks, dopo decenni di inattività da parte della comunità internazionale il programma nucleare è ora parte dell’identità stessa del regime e dello stato nordcoreano. Dal 2012 è entrato a far parte della Costituzione del paese, e nell’ultimo congresso del Partito, tenutosi a maggio dello scorso anno, è risultato ancora più centrale”. Si tratta di una linea politica, si chiama byungjin, che corrisponde al parallelo sviluppo delle armi nucleari e dell’economia del Paese, e, aggiunge Milani, “è parte fondamentale dell’ideologia legittimante del regime”. Per queste ragioni non si tratta più di una questione di sicurezza e di politica estera? “Sì, parliamo della tenuta stessa del regime. Tutti questi fattori rendono quasi impossibile creare le condizioni per parlare da subito di smantellamento del programma nucleare, l’unica opzione possibile di dialogo si può fondare su un quid pro quo basato su un temporaneo congelamento di tali attività”.

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