Dall’arma assoluta (nucleare) a quella astuta (dell’informazione)

Di michele

L’analisi di Diego Bolchini, esperto e analista di relazioni identitarie, autore di contributi per diverse riviste specializzate nei settori afferenti geopolitica, sicurezza e difesa

Un libro “bibbia” degli studi strategici del XX Secolo è quello dell’americano Bernard Brodie (1910-1978), dal suggestivo titolo The Absolute Weapon: Atomic Power and World Order, del 1946. Il contesto era quello della Guerra fredda tra superpotenze, allora appena iniziata. Oggi, invece, pare sempre più consolidarsi il profilo ubiquo di un’astute weapon, ovvero di arma astuta, “informativa”. Non si ragiona più di reazioni a catena nucleare di atomi fisici, ma delle possibili “reazioni a catena informative” tra sinapsi di individui interconnessi e multimediali. Come espresso recentemente dal professor Maurizio Mensi, titolare del corso di Diritto dell’informazione e della comunicazione presso la Luiss Guido Carli, si assiste de facto allo sviluppo di “nuove e sofisticate armi, le quali intersecano e sovrappongono politica, economia, diplomazia e informatica”.

In questo scenario (che unisce pervasività del mezzo e impatto di contenuti cognitivi) singoli smartphone, tablet e videocamere accendono e cumulano incessantemente narrazioni su fatti ed eventi. Ma sono queste verità “vere” o siamo forse immersi in una nuova caverna di Platone, vedendo (anche) ombre proiettate e orientate sulle mura delle nostre percezioni? Il rischio prefigurato da alcuni social media analyst è che, a livello web, queste novelle caverne digitali possano rinchiudere in “bolle informative” anche un giornalismo non esperto, oltre che interi segmenti di opinione pubblica.

Gilet gialli: i dubbi sulle ingerenze e le amplificazioni social

Quale dato di cronaca recente, significativo appare al riguardo un lancio dell’Ansa, ove si cita l’eventualità che l’intelligence francese stia indagando sul ruolo di taluni social network “amplificatori” delle proteste dei Gilet gialli, con account che sarebbero stati creati ad hoc. D’altra parte, il generale dei Marines John R. Allen aveva elencato giusto il mese scorso in un intervento avuto al Centro Studi Americani di Roma, i correnti domains of warfare: cinque fisici (sub-sea, sea, space, air, land) e uno “immateriale” (cyber-informativo). Nella sua valutazione, quello cyber-informativo sarà sempre di più un decisive domain of warfare, agente sui precedenti cinque domini “to achieve relevant outcome in battlespace”.

È evidente che identità digitali (vere o fittizie che siano) non distruggono vetrine, non rovesciano cassonetti fisici né bruciano autovetture sull’Avenue des Champs-Élysées. Occorre materia umana, viva e reagente per fare questo. E il comburente (ideologico) necessita certo di combustibile “fattuale” (economico) per avviare un processo e sviluppare calore ed entropia (fisica e politica). Parafrasando il veneziano fra’ Paolo Sarpi (1552-1623) occorre però riflettere come la materia de’ libri (e de’ internet e de’ social, nda) par cosa di poco momento, perché tutta di parole: ma da quelle parole (e da quei bit, nda) vengono le opinioni del mondo che causano le parzialità, le sedizioni e finalmente le guerre.

Tra antropologia e tecniche di generazione di propaganda digitale il piano fisico-reale ( con i suoi sostrati di psicologia, di sudditanze e di credenze)si interconnette allora alla proiezione elettronica dell’homo videns di cui parlava anche il politologo fiorentino Giovanni Sartori (1924-2017) al tempo dei cosiddetti popoli di Seattle. Laddove anche la televisione può inconsapevolmente diventare un moltiplicatore di protesta.

La centralità del dominio cognitivo

In definitiva, il dominio cognitivo stesso diventa sempre più una dimensione della sicurezza e della stabilità internazionale. La comunicazione è la funzione principe che opera in questo dominio, che si tratti di dirette Tv dall’Eliseo o anche di una chat privata. Gli effetti informativi (che etimologicamente rimandano alla natura intrinsecamente ristrutturante del termine in-formare, ovvero “dare una forma”) non sono dunque banali. Essi vanno attentamente considerati per i processi di attribuzione del significato, che definiscono le situazioni e creano ancoraggio ad una prospettiva in ogni atto di produzione e consumo di prodotti mediali.

Nel corso dei secoli sono cambiati i mezzi espressivi e la loro potenza di irradiazione e interconnessione, ma non gli ingredienti alchemici e chimici delle miscele esplosive: persuasione (psedo)razionale del logos, risonanza emotiva del pathos, autorità morale (e, aggiungeremmo, credibilità reputazionale del nuovo ethos dei nostri tempi). I Bernard Brodie e gli studiosi politico-sociali di oggi devono quindi sempre di più combinare il piano fisico, digitale e quello percepito per interpretare il mondo. Chi rimpiange l’elegante semplicità di Strategy in the Missile Age, pubblicato per i tipi della Princeton University Press nel 1959? Intanto, stanno già crescendo nel mondo futuri professori a contratto di Storia comparata dei sistemi social media. Avranno verosimilmente molto da raccontare ai loro discenti del 2030.

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