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Da al-Qaida al Califfato, una trasformazione 2.0 della jihad islamica. La comunicazione di Bin Laden nel 2001 era incentrata su video rudimentali improntati su messaggi religiosi. Oggi invece lo Stato islamico, grazie alla cassa di risonanza di Internet, ha creato una macchina da guerra sofisticata e penetrante. Nel saggio Horrorismo: Videoestetica del terrore nel Califfato islamico, pubblicato con l’ultimo numero di MicroMega, Elisabetta Santori prova ad analizzare le differenze comunicative delle due organizzazioni terroristiche. Il Califfato, pur ripudiando il mondo degli infedeli, nei suoi filmati richiama la cultura occidentale: “Se la moda dei video seriali era stata inaugurata da al-Qaida, i cui video mantenevano però una forte connotazione religiosa, una fattura molto artigianale, un’estetica arcaica – spiega Elisabetta Santori – l’Is l’ha digitalizzata, relegando il religioso a elemento di supporto e collocando la propria produzione filmica, molto più professionale e accurata, direttamente nell’immaginario estetico occidentale”.
Infatti l’intera produzione videopropagandistica dello Stato islamico non ha nulla di amatoriale, anzi si distingue per l’alta qualità delle immagini e del montaggio, l’uso di tecniche evolute di post-produzione, la coerenza dei messaggi e la diffusione sistematica dei prodotti sui social network. Le reti sociali, in quanto geneticamente orientate a mostrare le azioni dei propri utenti, trasformano il terrorista in un performer. Le esecuzioni degli ostaggi pubblicate sul web, vengono rilanciate da migliaia di persone. Secondo Santori, la raccapricciante violenza dello Stato Islamico è, da una prospettiva culturale, molto più prossima a noi di quanto siamo disposti ad ammettere. Infatti i registi del Califfato, per solleticare l’immaginario di potenziali seguaci, attingono a piene mani dall’estetica prettamente occidentale dei film d’azione e dei videogiochi, nonché da altri generi e sottogeneri della cultura pop. L’obiettivo finale “non è solo indurre orrore ma anche attrarre lo spettatore, come nei migliori horror movies”. La componente attrattiva è cruciale, considerando che buona parte del pubblico a cui l’Is si rivolge è costituito da giovani, non solo arabi ma anche occidentali convertiti e quelle seconde, terze, quarte generazioni di migranti di origine musulmana residenti in occidente. Tutti soggetti che hanno una familiarità completa con linguaggi comunicativi di stampo occidentale: nei loro confronti è veicolato un messaggio di forza e di invincibilità dell’Is, nel tentativo di reclutare nuovi combattenti.
Il saggio mette anche in guardia sulla tentazione di rifugiarci nell’idea della nostra differenza/superiorità democratica rispetto al Califfato e consiglia, invece, di “meditare su alcune somiglianze sottocutanee tra noi e loro, perché è su quelle che l’entertai-rrorism lavora, manovrando la doppia leva della contrapposizione e dell’analogia, della ripulsa e dell’appeal”.