L’inno americano risuona nel Palazzo della Rivoluzione di Cuba. L’Air Force One è atterrato all’Avana alle 15:50 locali di ieri. Dal Boeing 747-200 dell’Us Air Force è sceso, sotto una debole pioggia, il presidente degli Stati Uniti d’Americana, Barack Obama accompagnato dalla moglie Michelle, dalle figlie Malia e Sasha e dalla suocera Marian Robinson. Ad accoglierlo c’era il ministro degli esteri cubano Bruno Eduardo Rodríguez Parrilla.
È iniziato così lo storico viaggio di Obama a Cuba, la prima visita di un presidente statunitense da ben 88 anni. L’ultimo era stato Calvin Coolidge nel 1928, arrivato dopo tre giorni di viaggio su una nave da guerra per partecipare alla sesta conferenza panamericana.
Nel 1961, a due anni dalla rivoluzione che mise fine al regime filoamericano del generale Batista, il tentativo americano di invasione dell’isola attraverso la Baia dei Porci (operazione Mangusta) e di sovvertimento del regime castrista, aveva determinato l’interruzione delle relazioni diplomatiche. Il rapporto tra i due paesi veniva inevitabilmente assorbito dalla logica della contrapposizione che nel periodo del confronto bipolare pervadeva l’intero pianeta. Nel gennaio 1962 la Repubblica di Cuba fu esclusa dall’Organizzazione degli stati americani; il mese successivo il proclama 3447 del presidente Kennedy ampliò le restrizioni commerciali varate da Eisenhower due anni prima, imponendo l’embargo su ogni tipo di scambio. Proprio a Cuba, il clima di forte contrapposizione tra le due superpotenze culminò nei drammatici tredici giorni della crisi missilistica. Il mondo non era mai stato, e mai lo sarebbe stato dopo, così vicino a uno scontro nucleare. Al termine del confronto bipolare, Cuba è rimasta formalmente per molti anni uno dei principali avversari degli Stati Uniti, continuando a rappresentare un sistema politico, economico e culturale che essi si vantavano di aver sconfitto. Nel 1996 il Cuban Liberty and Democratic Solidarity Act, meglio noto come legge Helms-Burton, ha ulteriormente rafforzato l’embargo, annullando le importazioni dai paesi che effettuavano scambi con Cuba e sospendendo i finanziamenti americani verso quelle organizzazioni internazionali che violavano l’embargo. In linea d’aria tra Miami e L’Avana ci sono 370 km, una distanza che nel tempo è sembrata ampliarsi a dismisura e che ora sembra destinata a ridursi.
Il percorso di riavvicinamento tra i due paesi ha preso vita contestualmente all’inizio della presidenza Obama. Già nel 2009 il presidente americano si adoperò per l’eliminazione dall’embargo di quelle norme che impedivano ricongiungimenti familiari e l’invio di rimesse dagli States a Cuba. Nel 2013 è stata Cuba a fare il proprio passo, semplificando alcune norme per i viaggi all’estero, compresi quelli verso gli Stati Uniti. Nello stesso anno ebbe grande eco la stretta di mano tra Raul Castro e Obama in occasione del funerale di Nelson Mandela a Johannesburg. Stretta di mano che si è ripetuta ad aprile dello scorso anno a Panama, in occasione del summit delle Americhe. La tappa più recente di questo difficile percorso di riavvicinamento, complicato dalle accuse reciproche di spionaggio con conseguenti arresti nel 2009, è stata il viaggio del segretario di stato americano John Kerry a L’Avana lo scorso agosto. In quell’occasione, Kerry aveva presenziato la cerimonia di riapertura dell’ambasciata americana a L’Avana, evento epocale, naturale anticipatore del viaggio di Obama. A issare la bandiera sull’ambasciata statunitense furono gli stessi tre marine che 54 anni prima l’avevano ammainata, segno del desidero di riprendere un dialogo interrotto per troppo tempo.
Tra i maggiori fautori di tale normalizzazioni delle relazioni bilaterali c’è stata la Santa Sede. Già Giovanni XXIII aveva avuto un ruolo determinante nella risoluzione della crisi del 1962. Negli ultimi mesi è stato Papa Francesco, primo pontefice latino-americano, ad alimentare un clima di dialogo tra i due paesi, arrivando a inviare una lettera privata ai due leader e a scegliere Cuba per lo storico incontro con il patriarca di Mosca. Lo stesso Obama ha ringraziato per l’intermediazione con il governo cubano, il Papa e il governo canadese, altro fautore di un riavvicinamento che tutta la comunità internazionale avvertiva e avverte come necessario.
L’arrivo di Obama completa dunque un lungo percorso di riavvicinamento, sostenuto dall’opinione pubblica americana che, secondo i dati rielaborati dall’Ispi e forniti da Bbc, Washington Post e Pew Research Center, nel 2015 era favorevole per il 66% alla rimozione dell’embargo e per il 63% alla normalizzazione delle relazioni diplomatiche. Nelle prime dichiarazioni, Obama ha definito il viaggio “un’opportunità storica”, consapevole della portata della visita istituzionale che lo vedrà sull’isola fino a domani. Il programma prevede l’incontro con Raul Castro (e non con il fratello Fidel), l’omaggio a José Marti, eroe nazionale cubano che si oppose al colonialismo spagnolo, e l’incontro con i giovani imprenditori e dissidenti (alcuni dei quali arrestati ieri durante una manifestazione). Proprio questi ultimi sono stati tra i maggiori critici del viaggio di Obama. Insieme a una parte del partito repubblicano e alla comunità cubano-americana più anziana, essi considerano la visita una forma di legittimazione del governo castrista e una mancanza di attenzione nei confronti della tutela dei diritti umani a Cuba, tema che resta spinoso nel dialogo tra i due paesi.
Intanto Obama, dopo l’accordo nucleare con l’Iran, mette a segno un’altra vittoria in politica internazionale. Schivando i pantani mediorientali e la riemersione di un clima di deterrenza in Europa orientale, Obama riaggiusta la propensione statunitense in America Latina e accresce la legittimità internazionale della propria presidenza. Che sia un tentativo, tipicamente americano, di indebolire il regime aprendone l’economia e alimentando l’opposizione poco importa; ad eccezione di pochi oppositori il viaggio di Obama è accolto con grande ottimismo. Sicuramente, infatti, restano aperti e critici i capitoli relativi a diritti umani, dissidenti ed embargo economico, ma la portata storica dell’evento non può che diffondere speranza, soprattutto se si tiene a mente l’ottobre 1962, quando una guerra nucleare sembrava davvero possibile.