Conversazione con Jorge Benitez, direttore di NATOSource e senior fellow presso il Brent Scowcroft Center on International Security dell’Atlantic Council di Washington.
Dr. Benitez, qual è la sua opinione circa il futuro dell’industria europea della Difesa? Sarà possibile una maggiore integrazione tra le varie realtà nazionali e magari ipotizzare la creazione di un grande colosso europeo della difesa e aerospazio?
Non credo che la creazione di una sola grande industria della Difesa sia concretamente fattibile ma – al tempo stesso – sono convinto che in Europa vi siano diverse realtà all’avanguardia. Ritengo che sia un interesse comune con gli Stati Uniti quello di avere in Europa un’industria della difesa solida e robusta. Sono anche convinto che sia fondamentale per gli Stati Uniti avere un partner affidabile nella ricerca di nuove tecnologie. In questo mi auspico che i nostri alleati europei si uniscano a noi negli investimenti per ricerca e sviluppo e nell’acquisizione di nuove tecnologie.
Quali sono le sfide all’orizzonte per l’Alleanza Atlantica?
Credo che per entrambe le sponde dell’Atlantico la sfida più importante sia rappresentata dal bisogno di avere una visione più nitida e chiara circa i costi della sicurezza per i nostri Paesi. Abbiamo dato per scontato il fattore economico alla base della pace e della stabilità ormai per troppo tempo: abbiamo costantemente tagliato i budget destinati all’industria delle difesa nel corso delle ultime decadi, mentre i nostri avversari in Russia, Cina, Asia e in Medio Oriente hanno aumentato i loro investimenti in armamenti. Allo stesso tempo dobbiamo fare i conti con una serie di attori non statuali, come l’Isis, che hanno creato minacce e pericoli prima inimmaginabili. Ogni democrazia, allora, dovrebbe assicurarsi un giusto bilanciamento tra le varie voci di spesa e – allo stesso tempo – deve essere consapevole della necessità di investire una parte significativa delle proprie risorse per tutelare la pace e la sicurezza dei cittadini. Dovremmo sforzarci ad investire maggiormente nell’industria della difesa proprio perché una buona fetta delle nuove minacce è conseguenza di un certo disimpegno da parte dei nostri Paesi.
Crede sia possibile una maggiore cooperazione tra le due sponde dell’Atlantico sui temi della cyber security e del controspionaggio?
Credo che si registreranno dei progressi ma, sfortunatamente, tali progressi saranno conseguenza degli attacchi che subiremo nei prossimi anni. Al momento, infatti, le leadership politiche dei nostri Paesi parlano tanto di cyber security e intelligence sharing ma troppo poco è stato fatto. Non sembra essere una vera priorità per i governi occidentali e gli unici progressi che facciamo, come detto, sono conseguenza degli attacchi e delle perdite subite. Mi auguro, allora, che vi siano più cospicui investimenti adesso, prima di subire ulteriori danni da parte dei nostri avversari.
Quali sono i Paesi che dovremmo temere maggiormente per gli attacchi cyber e lo spionaggio?
E’ difficile fare una classifica. Si registrano dei significativi passi in avanti da parte degli hacker russi negli ultimi anni. Sono divenuti assai più aggressivi e brutali nel pianificare le loro attività. Credo che vi sia bisogno di una risposta strutturata a questa offensiva, sia da parte degli Stati Uniti che da parte dei nostri alleati nella Nato. Allo stesso tempo, gli sforzi della Cina nelle campagne di spionaggio si sono notevolmente intensificati. Sono sempre più pervasivi e – in termini di effettività – scalano rapidamente la classifica. Non possiamo dire siano così diretti e brutali come quelli russi ma possiamo affermare che dietro questa tacita strategia si nasconda un sofisticata pianificazione rivolta ad incentivare gli sforzi per carpire le tecnologie straniere.