Il rapporto di PricewaterhouseCoopers (PwC), realizzato per conto di Lockheed Martin, capofila del programma militare, si concentra sui ritorni economici e occupazionali del Joint strike fighter (Jsf) nel nostro Paese, che vuole acquistarne 90 unità nelle versioni convenzionale e a decollo verticale. Lo studio prospetta contratti a 27 aziende italiane per un totale di 667 milioni di dollari e stima in 15.756 miliardi di dollari il beneficio finanziario complessivo per l’Italia nel periodo che va dal 2007 al 2035, con una media di 543 milioni di dollari per ogni anno di attività
Contratti a 27 aziende italiane per un totale di 667 milioni di dollari. Sono alcuni dei numeri sul caccia di quinta generazione F-35 Lightning II contenuti in un rapporto di Pricewaterhouse- Coopers (PwC). Lo studio, realizzato per conto di Lockheed Martin, capofila del programma militare, si concentra soprattutto sui ritorni economici e occupazionali del Joint strike fighter (Jsf) nel nostro Paese, che vuole acquistarne 90 unità nelle versioni convenzionale e a decollo verticale. PwC, in un report condotto su osservazioni dirette e modelli economici, stima in 15.756 miliardi di dollari il beneficio finanziario complessivo per l’Italia nel periodo che va dal 2007 al 2035, con una media di 543 milioni di dollari per ogni anno di attività. Sul versante dell’occupazione, invece, lo studio calcola, tra posti di lavoro diretti e indiretti, 6.300 occupati nel periodo di massimo picco del programma (2018-2020). A questi va sommata l’attività di “sustainment” e di quasi 9mila addetti, includendo anche il sostegno alle flotte. Per gli autori del rapporto, il programma Jsf sosterrà una media di 5.450 posti di lavoro all’anno, indotto compreso, dal 2017 al 2026. Posti di lavoro che saranno inizialmente legati soprattutto alla produzione delle componenti del velivolo, che – una volta accantonati alcuni problemi tecnici e di software che affliggono ancora il caccia – lascerà gradualmente spazio all’attività di maintenance, repair, overhaul (Mro&u). I vantaggi per l’Italia saranno in parte legati agli investimenti realizzati dalla Penisola nelle tre fasi precedenti alla fabbricazione – quelle di adesione, ricerca e sviluppo e di sostegno alla produzione – e che collocano il nostro Paese tra i partner di secondo livello del programma. Tra le aziende interessate, un’importanza strategica è rivestita dalla realizzazione sul territorio italiano, presso la base dell’Aeronautica militare di Cameri (Novara), dei cassoni alari del caccia, realizzati da Alenia Aermacchi, controllata di Finmeccanica, con un ritorno stimato in 6,8 miliardi di dollari per tutto il programma F-35; ma anche di una linea di assemblaggio finale, manutenzione e aggiornamento, l’unica al di fuori degli Stati Uniti, denominata Final assembly line and check out (Faco)/Mro&u. Per questo il ruolo della base nel programma potrebbe avere anche positivi risvolti geopolitici. Secondo diversi analisti avere in Italia l’unico centro europeo per il mantenimento, il supporto logistico e l’aggiornamento dei velivoli può essere un asset importante per il Vecchio continente e, grazie all’europeizzazione del programma e dell’industria aerospaziale, potrebbe diventare una delle basi del rafforzamento delle capacità tecnologiche e industriali europee – tendenti a una sempre maggiore integrazione – e, insieme, di una rinnovata e rafforzata collaborazione transatlantica. La Faco, prosegue PwC, è collocata in modo tale da poter “acquisire ulteriore attività di assemblaggio, anche da Paesi non partner del programma”. Anche la Difesa stima di assemblare a Cameri non solo i 90 caccia italiani e i 35 velivoli di cui intende dotarsi l’Olanda, ma anche quelli di altri Paesi. A questo si aggiungerà il lavoro di riparazione, manutenzione, supporto logistico, retrofit e gestione della supply chain. Per il sustainment, effettuato a Cameri, Lockheed Martin prevede poi ulteriori 1.900 occupati diretti per tutta la durata del programma. “Per ogni dollaro speso sul programma all’Italia ne rientrano 1,08 – sottolinea PwC – ma è chiaro che questi calcoli sono dimensionati sull’acquisizione di 90 F-35”. Un numero considerato eccessivo e che qualcuno, tra le forze politiche presenti in Parlamento, vorrebbe ridimensionare per ragioni di bilancio. Ma oltre all’esigenza primaria italiana – illustrata da fonti militari – di sostituire i velivoli AV- 8B Harrier della Marina e gli Amx e i Tornado dell’Aeronautica, a partire dalla metà del prossimo decennio, il concetto fondamentale espresso nel report è che, per godere appieno delle ricadute positive del programma, legate anche al fattore produttivo, all’Italia non conviene ridurre il suo impegno per il Jsf. A spiegarlo in modo chiaro, poche settimane fa, durante un suo viaggio in Italia per seguire da vicino l’evoluzione del programma, era stato lo stesso Stephen O’Bryan, responsabile mondiale del programma F-35. Per il dirigente del gigante americano dell’aerospazio “ci sono tre grandi vantaggi per l’Italia da una partecipazione al Jsf: più lavoro per le aziende della Penisola impegnate nella produzione del velivolo; una riduzione del prezzo di vendita con l’aumentare della produzione” e il fatto che l’Italia sia “uno dei Paesi che hanno creduto e investito maggiormente nel progetto (circa 2,5 miliardi di euro, ndr), che darà un sicuro ritorno. Sarebbe un peccato abbandonarlo adesso”. Proprio ora che sul fronte dell’export – suggeriscono a oggi alcune indiscrezioni – potrebbero arrivare presto buone notizie anche da Regno Unito, Turchia e Sud Corea.