Seppur la definizione del Programma degli F-35 sarà definita con la stesura del Libro, il ministro Pinotti nella sua audizione alle commissioni Difesa di Camera e Senato ha ribadito l’importanza di non perdere con il sito di Cameri i vantaggi competitivi sugli altri Paesi adenti al programma. Un rallentamento italiano nell’investimento determinerebbe, come diretta e immediata conseguenza, che le commesse internazionali provenienti dagli altri Paesi che hanno deciso di acquisire l’F-35 sarebbero inesorabilmente dirottate verso lo stabilimento statunitense, l’unico altro sito produttivo al mondo. L’Italia è partita per prima e, al momento, possiede un vantaggio temporale non indifferente, che deve però tradursi in un vantaggio competitivo, attraverso quel processo di apprendimento, ottenuto mediante la progressiva crescita dei ritmi di lavoro, che riduce i costi.
Il mio intervento presso queste Commissioni ha il duplice scopo di presentare il Documento Programmatico Pluriennale 2014-2016 e di illustrare lo stato di due importanti programmi pluriennali di ammodernamento dello strumento militare, segnatamente il programma navale e il programma F-35.
In premessa, ho il dovere di spiegare il ritardo nella trasmissione al Parlamento del Documento Programmatico Pluriennale, trasmissione che in base alla legge dovrebbe avvenire entro il 30 aprile.
Il motivo del ritardo è rappresentato dall’emanazione del Decreto Legge n. 66 del 24 aprile 2014 recante norme di trasparenza e razionalizzazione della spesa pubblica, che ha ridotto di 400 milioni di euro le disponibilità di bilancio nel capitolo degli investimenti per la difesa, ovvero proprio un settore della spesa pubblica del quale il Documento Programmatico Pluriennale è chiamato a dare conto.
A stretto rigore, giacché la legge istitutiva di tale obbligo in capo al Ministro della difesa – mi riferisco appunto all’obbligo di presentare tale Documento Pluriennale entro il 30 aprile di ciascun anno – fa ovviamente riferimento agli investimenti programmati all’atto dell’approvazione annuale della legge di stabilità, non avrebbe avuto problemi il Ministero della difesa a produrre, ampiamente entro i termini prescritti, il Documento in questione.
Questo però, oltre a non rispecchiare più la realtà dal punto di vista contabile, per via della citata riduzione degli stanziamenti, non sarebbe stato neppure fedele in termini di effettiva responsabilità politica del Ministro in carica.
Considerati tali aspetti, ho ritenuto in ultima analisi di posticipare la presentazione del Documento – che ormai siamo abituati a chiamare “D.P.P.” – privilegiando gli aspetti di piena corrispondenza dello stesso allo stato dell’arte, sia finanziario, sia politico.
Pertanto, il DPP 2014 – 2016 presenta un “addendum” nel quale, in allegato “C”, è illustrato l’aggiornamento del profilo finanziario associato ai programmi pluriennali, a seguito dell’emanazione del citato Decreto di riduzione della spesa pubblica.
Ma l’esame odierno del Documento Pluriennale, oltre che il dettaglio sulle variazioni intervenute negli ultimi mesi, è a mio modo di vedere utile soprattutto per cogliere le variazioni in atto nel medio termine, sintetizzando con pochi ma efficaci grafici e tabelle una tendenza particolarmente marcata di riduzione delle allocazioni alla Difesa.
In estrema sintesi, il DPP di quest’anno ci consente di riepilogare quanto avvenuto negli ultimi sei anni, a partire quindi dal 2008, anno di inizio della precedente Legislatura e, in sostanza, anche di avvio della crisi economica internazionale.
Ebbene, andando direttamente ai dati, negli ultimi sei anni la Difesa ha visto diminuire le consistenze iniziali del Bilancio dei settori Investimento ed Esercizio, di complessivi 1.732,7 Milioni di €, pari ad un -27,51% delle disponibilità del 2008.
In particolare, i consumi intermedi si sono ridotti di un totale di 1.440,3 M€, pari a una diminuzione del 63,59%, passando dai 2.265 M€ nel 2008 agli attuali 824,7 M€. In proiezione, gli stessi scenderanno ancora, arrivando a 745,3 nel 2016-2017.
Ho fatto riferimento alla crisi economica, della quale non è certo mia intenzione sottovalutare la portata o gli effetti. Devo però segnalare come, nel periodo in esame, la spesa complessiva di tutti i Dicasteri, per consumi intermedi, sia passata da 7.753 milioni di € nel 2008 a 9.926 Milioni di € nel 2014. È quindi cresciuta, sebbene ad un ritmo inferiore a quanto previsto inizialmente.
Riduzione spese per la Difesa
Se ne ricava che la riduzione apportata alla Difesa che, lo ripeto, si attesta ad oltre il 63%, appare squilibrata nel confronto con l’andamento complessivo.
Passando all’esame della voce relativa agli investimenti, il Dicastero ha diminuito progressivamente le proprie disponibilità, passando da uno stanziamento nel 2008 pari a 3.635 Milioni di € agli attuali 3.220,7 M€, rispetto ad un tendenziale approvato dalla Finanziaria 2011 di oltre 4.200 M€. Diventeranno 2.871 Milioni nel 2015 e 2.863,4 nel 2016, segnando così una riduzione del 31,82%, nel periodo in esame.
Per quanto attiene ai finanziamenti erogati dal Ministero per lo Sviluppo Economico, comprensibilmente orientati alla promozione delle tecnologie industriali nazionali, laddove le risorse a bilancio ordinario perseguono le esigenze strutturali della Difesa, nell’Allegato C del Documento sono analiticamente specificate tutte le attività e tutti gli oneri associati.
È facile constatare come gran parte dei programmi attuali, sostenuti dal MiSE, fossero attivi anche negli anni precedenti, con impegni di spesa sostanzialmente simili. Quindi, questa componente è rimasta tendenzialmente stabile.
Quella che si è ridotta significativamente è, invece, soprattutto la spesa per l’esercizio e per gli investimenti, attestata al Ministero della difesa, riduzione che trova conferma anche esaminando il settore relativo al personale.
La Difesa offre, infatti, un ulteriore importante contributo al risanamento della spesa pubblica nel medio/lungo termine, attraverso una riduzione del personale di 50.000 unità su un totale di 220.000 unità, nell’arco di appena 10 anni. Essa rappresenta una riduzione mai attuata da nessun’altra amministrazione. Per effetto della propria revisione interna, infatti, la Difesa passerà a regime dai 190.000 militari effettivi previsti, non ai 170.000 indicati dal Decreto Legge 95 del 2012 – la cosiddetta “spending review” –, ma a 150.000, con un decremento secco di circa 40.000 militari, riducendo parallelamente i ruoli del personale civile di 10.000 posizioni organiche.
La dirigenza, che il citato D.L. 95 prevedeva dovesse scendere da 443 a 358 unità per i Generali, è stata internamente rivista, diminuendone ancora nettamente il numero. La riduzione finale sarà pari al 30%, per attestarsi alle 310 unità previste dalla L. 244/2012 e dal discendente decreto legislativo 8/2014.
Per quanto attiene alle strutture organizzative, infine, ambito per il quale il D.L. 95 non aveva introdotto misure vincolanti, la citata Legge 244, come attuata con il D. Lgs. 7/2014, indica anche qui una riduzione del 30%.
Non va infine sottovalutata la portata del blocco delle retribuzioni del personale militare, in corso da diversi anni, che ha avuto gravi effetti per un’organizzazione fortemente gerarchizzata nella quale, alla progressione nei gradi, corrispondono responsabilità crescenti.
Il blocco degli effetti economici delle promozioni, in particolare, ha determinato disparità di trattamento tra il personale promosso in data antecedente al blocco e personale che – promosso durante il blocco – si è visto attribuire incarichi e responsabilità connesse con il nuovo grado, non vedendo riconosciuto il relativo trattamento economico. Un paradosso aggravato da evidenti disparità di trattamento determinate dalla “cristallizzazione” del livello stipendiale del 2010 e dalla mancanza di una previdenza complementare per l’intero comparto Difesa e Sicurezza.
In definitiva, credo debba essere riconosciuto che il contributo della Difesa alle manovre di contenimento della spesa pubblica sia stato non solo di gran lunga superiore a qualsiasi altro Dicastero ma anche immediato, strutturato ed attuato con zelo, come dimostra peraltro l’“addendum” allegato al Documento.
Gli effetti di tali molteplici decurtazioni sono già ora significativi: oltre ai pesanti sacrifici richiesti al personale, la drastica riduzione nelle risorse per l’addestramento e la manutenzione dei mezzi ha determinato una simmetrica riduzione del grado di approntamento dello strumento militare. Senza un’inversione di tendenza, esiste il rischio di non poter far fronte a impegni militari che non siano stati debitamente programmati.
La compressione delle risorse per gli investimenti ha, a sua volta, rallentato il processo di periodico svecchiamento delle dotazioni. Questo ha richiesto un crescente affidamento alle risorse del MiSE, per arrestare la progressiva obsolescenza degli equipaggiamenti in una fase storica nella quale, oltretutto, l’incertezza è assurta a carattere dominante, tanto nella dimensione dei rapporti economici quanto in quella della sicurezza internazionale.
Non è questa la sede o il momento per ricordare quante crisi – spesso inattese – siano aperte attorno all’Italia. Dall’Europa orientale al nord Africa; dal Vicino oriente al Sahel, senza trascurare quanto avviene appena oltre l’area di più immediato interesse, ovvero in Nigeria, in Somalia, nell’Oceano Indiano, in Afghanistan e Iraq.
Siamo consapevoli, io credo, di come queste crisi proiettino degli effetti su di noi, in termini di accresciuti rischi e, in taluni non sporadici casi, di palesi minacce.
“L’equazione della sicurezza”, intesa come formula che permetta di mantenere in equilibrio la domanda di sicurezza che viene dal Paese con le risorse messe in campo, è di sempre più difficile soluzione in uno scenario tanto complesso e imprevedibile come quello attuale.
Il Governo, proprio per questo, ha reputato indispensabile procedere con una complessiva revisione delle nostre scelte in tema di difesa, per valutarle nuovamente nel confronto con la nuova condizione geostrategica e finanziaria e per disporre poi quei cambiamenti che emergeranno come necessari.
Questa revisione, come noto, è già in corso, attraverso la predisposizione del Libro Bianco, la cui funzione, per l’appunto, è quella di tornare a ragionare sui rischi e le minacce che gravano sull’Italia, sugli interessi da tutelare e sulle scelte da compiere in tema di organizzazione e impiego dello strumento militare.
Ho già inviato, la settimana scorsa, le “Linee Guida” che individuano la filosofia di fondo del nuovo Libro Bianco, dopo che le stesse erano state messe a conoscenza del Capo dello Stato, per l’esercizio delle sue prerogative costituzionali. Oggi, tuttavia, come annunciato, desidero procedere con la presentazione di due significativi programmi di ammodernamento delle Forze armate, programmi che, come potrò meglio descrivere fra poco, hanno rilevantissimi risvolti anche in termini di sviluppo tecnologico e industriale, nonché dal punto di vista occupazionale.
Rinnovamento della Marina militare
Il primo è quello relativo al parziale rinnovamento della Marina Militare, la cui linea operativa è oggi in gran parte obsoleta per il raggiungimento del termine della vita operativa di molte unità.
Non è superfluo ricordare quanto l’Italia sia dipendente, sia in termini di difesa, sia in termini di sviluppo economico, da un sicuro accesso ed utilizzo dei mari. Attraverso il mare transita la parte di gran lunga maggiore dei nostri flussi commerciali. È attraverso il mare che possono concretizzarsi rischi già oggi evidenti e trasformarsi in minaccia.
Abbiamo pertanto la necessità di continuare a disporre di una Marina che sia pienamente efficiente, quindi dotata di mezzi moderni e sottoposti alla corretta manutenzione, con equipaggi addestrati e motivati.
A presupposto di tale strumento navale, abbiamo bisogno di una base industriale e tecnologica capace di sostenere le nostre esigenze in fatto di piattaforme navali e di apparati elettronici imbarcati, perché una Marina pienamente efficiente non può prescindere da un sistema di sostegno tecnico e logistico altrettanto valido.
Il programma in questione, come è normale che sia in considerazione della complessità associata alla realizzazione di una serie di unità navali di differenti caratteristiche, si protrarrà per durata complessiva di 19 anni, nel periodo 2014-2032, includendo anche la fase del sostegno logistico.
Il costo complessivo stimato del programma ammonta a 5.800 Milioni di €, inclusi gli eventuali oneri di ammortamento per capitale e interessi, finanziato con stanziamenti tratti dal bilancio del Ministero dello Sviluppo Economico, afferenti alla Missione 11 (Competitività e sviluppo delle imprese), Programma 5 (Regolamentazione, incentivazione dei settori imprenditoriali, riassetti industriali, sperimentazione tecnologica, lotta alla contraffazione, tutela della proprietà industriale), macro-aggregato-UPB “Investimenti” e Centro di Responsabilità Dipartimento per l’impresa e l’internalizzazione.
La formula di finanziamento prescelta, di cui all’articolo 1 comma 37 della Legge n. 147/2013 (Legge di Stabilità 2014), vede l’attivazione di impegni ventennali di spesa: 40 milioni di euro a decorrere dall’anno 2014, di 110 milioni di euro a decorrere dall’anno 2015 e di 140 milioni di euro a decorrere dall’anno 2016. Pertanto, la fase di finanziamento coprirà il periodo 2014 – 2035.
Passando alla tipologia e al numero di Unità navali finanziate, esse sono:
• 6 Pattugliatori Polivalenti d’Altura per la sorveglianza marittima tridimensionale, più quattro Unità aggiuntive in opzione;
• 1 Unità d’altura di Supporto Logistico, con capacità ad ampio spettro (trasporto e rifornimento in mare di combustibili, lubrificanti, munizionamento, pezzi di rispetto, viveri, acqua, medicinali, materiali vari) e di concorso ad attività di soccorso umanitario in caso di eventi straordinari o calamità naturali;
• 1 Unità anfibia multiruolo per la proiezione di assetti operativi ad elevata prontezza, militari e umanitari, per il concorso della difesa ad attività di soccorso umanitario in occasione di eventi straordinari o calamità naturali, con spiccati requisiti di standardizzazione e interoperabilità con gli alleati e i partner europei, in particolare per le capacità imbarco, trasporto, rilascio, impiego e supporto di mezzi anfibi e aerei;
• 2 Unità navali polifunzionali ad altissima velocità e spinto contenuto tecnologico per il supporto alle Forze Speciali del Gruppo Operativo Incursori, per il contrasto della minaccia asimmetrica e per l’impiego in tutti i contesti operativi che richiedano flessibilità, incisività, massima prontezza, deterrenza e discrezione.
Il piano costruttivo sarà completato poi da un programma di “Supporto Logistico Integrato”, conforme alle specifiche normative in vigore e comunque non inferiore a 10 anni, programma i cui oneri sono inclusi negli stanziamenti già citati.
Infine, dal punto di vista tecnico-amministrativo, l’intendimento è quello di avvalersi dell’OCCAR, ovvero la “Organizzazione congiunta per la cooperazione in materia di armamenti”, che gestisce programmi europei di cooperazione, della quale siamo Membri fondatori e che, già in passato, ha dimostrato la sua efficacia nella gestione di questo genere di commesse.
Come accaduto in passato, ricercheremo attivamente intese internazionali coi nostri partner europei, per realizzare congiuntamente – se possibile – alcune di queste unità. Ho già prospettato questa soluzione al mio collega francese, Le Drian, lo scorso 16 giugno, e l’interesse è elevato.
Il programma F-35
Vengo, ora al programma relativo al velivolo F-35 e ai connessi sistemi di produzione e di sostegno logistico.
In primo luogo, credo sia corretto accennare all’andamento complessivo del programma. Si tratta – è noto a tutti – di un sistema innovativo e ad altissimo contenuto tecnologico, e ciò implica inesorabilmente che ci siano ostacoli da superare nel percorso di sviluppo. Tuttavia, ad oggi sono oltre cento i velivoli realizzati, i quali operano regolarmente e con una crescente intensità, permettendo sia di procedere con la fase di sviluppo, sia di addestrare i futuri piloti destinati ai reparti operativi.
In relazione ai possibili ritardi del software, paventati anche sulla stampa, è opportuno precisare che questi non avrebbero alcun impatto sull’operatività dei velivoli destinati all’Italia. Difatti, mentre le Forze armate statunitensi hanno già assegnato il velivolo ai primi reparti e prevedono di raggiungere la capacità di svolgere missioni operative fin dal 2016, l’Italia utilizzerà i primi lotti di velivoli solo per le attività di familiarizzazione con le nuove tecnologie e l’addestramento.
Come a Voi noto, negli ultimi mesi è aumentato il numero di Paesi che hanno già deciso, formalmente, di acquisire il velivolo. Corea del Sud e Turchia sono le ultime due nazioni, in ordine di tempo, a siglare un ordine fermo.
Venendo all’Italia, mentre i lavori di allestimento del sito di Cameri sono ormai quasi completati, sono già state avviate le operazioni di assemblaggio dei primi velivoli italiani: a luglio 2013 il primo velivolo F-35A italiano ha iniziato l’assemblaggio, seguito dal secondo velivolo a novembre 2013 e dal terzo a febbraio 2014. Lo scorso aprile è giunto a Cameri, per il montaggio, il primo motore.
Si tratta di velivoli appartenenti al Lotto numero 6, che include tre esemplari con consegne previste fra il 2015 e il 2016.
Seguirà, come previsto, il Lotto numero 7, anch’esso composto di tre velivoli, con consegne nel 2016.
Come certamente noto, e come già avevo avuto modo di comunicare a queste Commissioni, in considerazione delle indicazioni emerse in Parlamento, relative alla opportunità di analizzare nuovamente il programma F-35 nella sua interezza, inclusi gli aspetti relativi ai suoi costi complessivi, il Governo ha deciso di sospendere temporaneamente ogni ulteriore attività contrattuale, successiva a quelle già sottoscritte e operanti.
Il programma complessivo, quindi, sarà definito nuovamente a valle della stesura del Libro Bianco per la difesa, ovvero dopo che saranno stati definiti gli obiettivi di capacità che le Forze armate dovranno raggiungere, per soddisfare le nostre necessità di difesa.
Nel mentre, fatta salva l’attività relativa agli oneri non ricorrenti di produzione, supporto e aggiornamento, i quali sono condivisi con tutti gli altri partner internazionali, nonché le attività relative alla produzione ed equipaggiamento dei due lotti n. 6 e n. 7, i cui contratti erano già sottoscritti e operanti, nessuna altra attività contrattuale di acquisizione è stata affidata all’Ufficio di programma.
Questa sospensione, che ho ritenuta doverosa in considerazione delle indicazioni emerse in Parlamento, implica tuttavia oneri non trascurabili e, soprattutto, prospetta il rischio di causare effetti particolarmente negativi in termini di sostenibilità industriale.
Difatti, nel sito produttivo di Cameri si stanno attraversando, in questi mesi, fasi assolutamente cruciali per il buon esito dell’intero progetto, giacché l’avvio della fase produttiva significa anche l’avvio di quella “curva di apprendimento” che, nel tempo e in proporzione coi carichi di lavoro, permette al sistema produttivo di “imparare a fare”, nei tempi e nei costi richiesti dalla competizione internazionale.
Qualora le attività produttive relative ai lotti successivi rispetto al n. 6 e 7 non dovessero essere avviate, si determinerebbe una interruzione della citata “curva di apprendimento” e, quindi, un peggioramento sostanziale della competitività dell’intero sito produttivo.
Ciò determinerebbe, come diretta e immediata conseguenza, che le commesse internazionali provenienti dagli altri Paesi che hanno deciso di acquisire l’F-35 sarebbero inesorabilmente dirottate verso lo stabilimento statunitense.
Voglio ricordare che, al momento, l’Italia, con la FACO di Cameri, è l’unico altro Paese al mondo ad avere un sito produttivo al di fuori degli Stati Uniti; altri Paesi, in Asia e in Europa, stanno però investendo risorse per acquisire una certa capacità produttiva. Noi siamo partiti per primi e, al momento, abbiamo un vantaggio temporale non indifferente, che deve però tradursi in un vantaggio competitivo, attraverso quel processo di apprendimento, ottenuto mediante la progressiva crescita dei ritmi di lavoro, che riduce i costi.
Se ci fermiamo ora, gli altri potranno sorpassarci e, a quel punto, sarà molto difficile domani riconquistare il terreno perduto.
Per tutto questo, la mia intenzione è quella di chiedere con decisione la collaborazione delle Autorità statunitensi affinché, nel contesto di un più ampio accordo di partnership strategica che lega storicamente i nostri Paesi, sia incrementato nei prossimi anni il carico di lavoro per lo stabilimento di Cameri, in modo da compensare la riduzione delle attività produttive connesse con le esigenze italiane.
Nei prossimi giorni mi recherò negli Stati Uniti e anche questo sarà uno dei temi in agenda.
È giusto però considerare il fatto che il programma F-35, per il suo carattere di alta competizione fra tutte le numerosissime industrie partecipanti e per l’amplissimo coinvolgimento di altri Governi, non può essere compiutamente racchiuso nel solo dialogo politico bilaterale, fra Italia e Stati Uniti.
Ovviamente, il numero finale dei velivoli e il connesso costo complessivo del programma rimarrà soggetto alla rivisitazione di cui ho già parlato, connessa con le risultanze del Libro Bianco.