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L’Italia è “l’unica candidata, in quanto ha già investito ed attivato sul proprio territorio un apposito stabilimento”, per effettuare – e questo lo sanno bene anche gli americani – la manutenzione dei caccia F-35 che graviteranno per i prossimi 40 anni nel bacino euro-mediteranneo. Questo il commento di alcuni addetti ai lavori, a proposito dell’annuncio, fatto in questi giorni dal ministro della Difesa, Philip Hammondd, di voler attivare sulla base RAF di Marham il polo manutentivo per la gestione delle flotte di JSF.
A preoccupare alcuni ambienti della Difesa è ben altro. Per chi lavora al programma F-35 infatti, ritardarlo di qualche anno o ridurlo quantitativamente, come vuole il documento presentato dal PD in Commissione Difesa, significherà però, da un lato perdere gli investimenti fatti sulla Faco di Cameri, già quasi rientrati, ma che potenzialmente “potrebbero portare – si apprende -, solo per la produzione delle ali e dei velivoli, un rientro di 8 per ogni euro speso”; dall’altro, mettere in difficoltà l’industria aeronautica nazionale, dal momento che Regno Unito, Germania e Spagna hanno dichiarato di non voler procedere ad ulteriori acquisizioni di Eurofighter.
Oggi sono circa 30 le Pmi che stanno lavorando al programma F-35, importanti contratti sono già stati acquisiti e, notizia di queste ore, dirigenti Finmeccanica starebbero per finalizzare un importante accordo con il prime contractor Lockheed Martin, unico nel suo genere, per una collaborazione nel campo avionico, mirata all’operatività del sistema d’arma, che contempla – si apprende da addetti ai lavori – la disponibilità al rilascio di informazioni classificate da parte del Governo Usa.
Il programma F-35 è stato oggetto di un severo taglio, durante il governo Monti, su proposta della Difesa, quando era stato annunciato un impegno da 131 a 90 aerei. Da dove nascano i 90 ancora non è ben chiaro, allora si parlò della generica necessità di ridurre le spese della Difesa, ma i 41 aerei tagliati sarebbero stati quelli prodotti dal 2028 al 2035, con una riduzione – si apprende – di circa 3,2 miliardi di euro. Nessun effetto immediato dunque, se non per le ali, prodotte da Alenia Aermacchi, passate subito da 1.215 a 835, con perdite stimate per circa 4 miliardi di dollari. “E’ singolare, rileva qualcuno, che pochi mesi dopo la riduzione degli F-35, lo stesso Governo abbia poi introdotto circa 6 miliardi di euro per la cosiddetta “legge navale”.