Dal G7 di Lucca il punto sulla Siria

Di Emanuele Rossi

Alla riunione conclusiva della ministeriale G7 sugli Affari Esteri, che si è tenuta a Lucca nei giorni scorsi, hanno preso parte anche i rappresentati di alcuni Paesi mediorientali (Turchia, Qatar, Giordania, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti). Una novità fortemente voluta dall’Italia, Paese ospitante (anche del prossimo vertice di Taormina), dato che l’argomento centrale dell’incontro era la crisi siriana e la postura da utilizzare nei confronti della Russia – che fa da sostegno militare e politico per il regime di Bashar el Assad e che secondo gli Stati Uniti è corresponsabile dell’ultimo attacco chimico di martedì scorso.

Nei giorni passati il segretario di Stato americano Rex Tillerson, che lasciato il vertice toscano è andato a Mosca, ha definito i russi “incompetenti” per non essere stati in grado, quanto meno, di controllare che Damasco tenesse fede a una promessa firmata in sede Onu (e di cui la Russia s’era fatta garante): lo smantellamento dell’arsenale chimico dopo l’attacco mortale di Ghouta nel 2013.

Il presidente di turno dei ministri del G7, l’italiano Angelino Alfano, ha illustrato il documento congiunto redatto a margine dell’incontro, nel quale non è contenuto un inasprimento delle sanzioni contro la Russia per le responsabilità in Siria. Così come successe a ottobre dello scorso anno dopo il Consiglio Europeo, anche al tavolo del G7 c’erano membri come il Regno Unito, promotore dell’azione punitiva verso Mosca, o la Francia, che chiedevano un atteggiamento più duro nei confronti della Russia, mentre altri, come l’Italia, il Giappone e il Canada, avevano una visione più tiepida.

Alfano ha spiegato in conferenza stampa che si dovrà cercare una soluzione diplomatica, “dialogare con la Russia evitando di metterla in un angolo, ma anche chiedendo a Putin di esigere il credito finora concesso ad Assad”. “Pensiamo che i russi abbiano tutta la forza per mettere pressione ad Assad – ha aggiunto Alfano – e fargli rispettare gli impegni presi, primo fra tutti il cessate il fuoco”. Leggendo tra le righe si riconosce che la diplomazia americana ha avuto un’impronta in queste parole, perché suonano simili all’obiettivo che Washington si è posto per la visita russa di Tillerson: ottenere che Mosca allenti il sostegno al rais siriano (argomento su cui il Cremlino ha già risposto scocciato dichiarando che sarà un “non-starter“).

Sul ruolo di Assad sta, ancora dopo sei anni, almeno formalmente il nodo della situazione. Il francese Jean-Marc Ayrault ha detto che non esiste un processo di pace possibile se il dittatore siriano resta al potere, parlando di un consenso univoco su questo tra i membri del G7. Anche Tillerson ha detto che, nonostante l’obiettivo primario in Siria è combattere lo Stato islamico, Mosca dovrà scegliere, o noi e i nostri alleati, e essere parte del futuro dei siriani, oppure il regime, l’Iran, gli Hezbollah e i gruppi ideologici-radicali che sostengono Assad (che per Tillerson sarebbe “ormai vicino alla fine”).

La posizione espressa da Alfano è quanto meno più soft: “Non è una cosa che si decide in un giorno, spetta ai siriani decidere il proprio destino”. Il governo di Roma, per bocca del capo della diplomazia, ha espresso una posizione morbida nei confronti della Russia al tavolo del G7, nello stesso giorno in cui Sergio Mattarella è arrivato nella capitale russa, il primo capo di stato europeo recatosi in visita ufficiale da quando sono entrate in vigore le sanzioni UE come misura punitiva per le responsabilità sulla crisi ucraina. Mattarella ha prima incontrato il primo ministro Dmitry Medvedev, e poi al Cremlino è stato ricevuto dal presidente Vladimir Putin (“L’interesse comune superi le difficoltà” ha detto Mattarella).

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